giovedì 27 agosto 2015

The Gate: una storia al di là di ogni imbarco



Ancora deve sorgere il sole e quella notte non hai dormito quasi nulla: troppi pensieri per la testa; hai fatto tardi per sistemare le ultime cose, ultimare la preparazione del bagaglio, salutare chi ancora non se n'è andato. L'aria fuori dalle porte dell'aeroporto è fresca e umida, la temperatura minima a quell'ora e il sonno ti danno uno strano senso di nausea; non hai voglia nemmeno di un caffè.
Gli ultimi saluti, gli abbracci di chi ha voluto accompagnarti fino al banco check-in, poi sei solo. All'improvviso le spalle si fanno leggere, alzi il naso sotto a quel tabellone appeso in mezzo alla sala cercando una località lontana il cui nome è riportato sulla tua carta d'imbarco che stringi nella mano destra: il volo è in orario. Ora puoi recarti al controllo sicurezza, non si torna più indietro. Ti senti minuscolo sotto a quel tabellone che vomita informazioni su orari e destinazioni che ti senti di conoscere da sempre: Milano, Abu Dhabi, Roma, Dubai, Quito, Lomé, Maputo, Lima, Madrid, Tunisi, Kinshasa, Lisbona, Stoccolma, Catania, Freetown...

Passato il check-in ritorni, almeno per ancora un po', alla realtà che hai lasciato fuori dalle porte di vetro che ti separano dal mondo che sta fuori; quel mondo che tra poco lascerai per un bel po'. Allora riprendi in mano il telefono, leggi gli ultimi aggiornamenti su Facebook, mandi un saluto per Whatsapp e perché no l'ultimo ''selfettone'' di rito, leggi qualche notizia online e cerchi di distrarti e magari una telefonata inaspettata che ti farà sorridere a lungo. Intorno a te una piccola e insignificante porzione di abitanti del globo si sta spostando per le ragioni più svariate. Ma poi che ne sai?! Come puoi giudicare quella massa di italiani medi che secondo te si sta recando al mare in ferie? Ma la carta d'imbarco che stringi tra le mani riporta il nome di una destinazione che di vacanza e mare dice ben poco: per te lavoro gli altri che se  ne vadano a Sharm o  nella meno esotica Lamezia T.
Ma almeno ti ricordi l'ultima volta che a salire a bordo di un aereo non eri solo?

A me gli aeroporti sono sempre piaciuti. Da sempre esercitano su di me un leggero fascino di cui forse non vale la pena indagare. Da bambino non mi sarebbe dispiaciuto diventare un giorno un assistente di volo... Per me gli aeroporti sono una sorta di ''non-luogo''. In aeroporto la tua nazionalità conta relativamente, sono una sorta di zona franca, una piccola e moderna Babele dove le più disparate genti si incrociano per attimi che durano quanto il tempo di uno scalo.
E io li fisso tutti. Scruto e osservo tutti coloro che mi passano davanti, cerco di indovinare nazionalità, provenienza e destinazione; cerco di immaginarmi cosa c'è oltre al loro viaggio, quel viaggio che in parte stiamo condividendo in quanto io ancora una volta viaggio solo. Ma è tutta una casualità.

Ormai manca una manciata  di minuti all'imbarco: è tempo di ritirare le cuffie, il libro che stai leggendo, estrai il passaporto e ti metti in fila con pazienza e disciplina. Eh sì...perché tu hai viaggiato, hai studiato all'estero: quelli chiassosi e indisciplinati sono sempre gli altri.
Dietro a ogni gate c'è una storia. Siamo frammenti di umanità che circolano alla ricerca del proprio posto nel mondo, quel posto che crediamo di meritare.
Ed era così esattamente un anno fa quando, lasciandomi tutto alle spalle, varcavo un gate per andare dall'altra parte del globo. E già sapevo in cuore mio che ad attendermi, oltre alle porte di quel gate, c'era una parte del mio Cortile.