Ormai quattro anni fa lasciavo la terra
natìa al grido di “Guardate che torno eh!”. Tuonava più come
una minaccia, che come una promessa. Quando me ne andai per studiare
“all'Università buona”, promisi anche a mia madre che per ogni
30 mi sarei fatto un buco all'orecchio. E l'affetto materno mi augurò
un libretto pieno di 29. Ne ho presi cinque, di 29.
Qualche giorno fa ho completato
definitivamente il mio percorso di laurea triennale in Scienze
Politiche, a 5 mesi della laurea – i 5 mesi li ho impiegati per
dare un esame che mi consentisse di iscrivermi alla specialistica in
Economics, Finance and International Integration. Ammappete. E per
trovarmi qualcosa da fare per impiegare proficuamente il tempo tra la
laurea e l'inizio della specialistica. Qualcosa da fare l'ho trovata:
parto per la Guinea-Bissau il primo ottobre per 6 mesi. Mi occuperò
di fair trade nell'ambito del programma “Youth in Action”,
attraverso il Servizio Volontario Europeo. Estigazzi!
Ci si sente che si pensa di essere
fortunati, a 23 anni, a trovare un impiego utile del proprio tempo al
di fuori degli studi accademici, in cui si è addirittura coperti
nelle spese e (mal)pagati. Capirai, in Guinea-Bissau le sigarette
costano 30 centesimi al pacchetto, e hanno i valori – quelli in
basso sul lato corto, contornati di nero – che sembrano i valori
nutrizionali del lardo di colonnata.
Ci si sente anche come pensavi che si
sentissero i tuoi amici che partivano per esperienze di cooperazione
e non, in Paesi in via di Sviluppo e non, a lavorare e non. Insomma,
ne hai visti tanti andarsene prima di te, qualcuno è tornato anche;
più o meno lo sai cosa si prova. Ci chiacchieravi nel cortile
dell'Università, e da un giorno all'altro quelli se ne andavano. Poi
tornavano, e raccontavano delle loro esperienze del fatto che nessuno
ti da la ricetta per salvare il mondo dai cattivi, del fatto che
l'Africa ti fa cambiare idea sullo stalinismo, che le elezioni in
Africa Occidentale seguono dinamiche bizzarre, che i sorrisi delle
donne maya nascondono vissuti inimmaginabili.
Credevo che non sarei mai riuscito a
distaccarmi dal mio seminato qui, dalla rappresentanza studentesca,
dalle relazioni. Eppure, adesso sono vaccinato contro la febbre
gialla, tutto certificato da un libretto giallo, che in questo
momento si trova al consolato della Guinea-Bissau insieme al
passaporto (il cui ottenimento è risultato parecchio ostico: tutto
spiegato in questo
articolo scritto malissimo).
Tupac Shakur, morto oggi nel 1996 e
paladino del popolo africano trapiantato negli Stati Uniti, cantava
“that's the way it is; thing will never be the same”. Ed è
questa forse l'unica consapevolezza che mi porto dietro. Non è lo
stesso, rispetto a quando sono andato via di casa 4 anni fa, e non
sarà lo stesso quando tornerò. Il bello dei cambiamenti è che puoi
sempre raccontarli, tra i porticati di un cortile.
Alla fine, dell'Africa io non so una
beneamata minchia, ma mi riservo di raccontarvela mischiata a tutte
le altre cose che mi passeranno per la testa nei prossimi sei mesi.
Nessun commento:
Posta un commento