Foto: Will Swanson
Nairobi, quarto giorno di terrore. Da tre giorni le autorità keniote proseguono il mantra del "tutto sotto controllo". I giornali di tutto il mondo rimbalzano la notizia. Ognuno ha la sua versione. C'è chi dice che gli ostaggi siano tutti stati liberati, c'è chi sostiene che ancora ce ne siano nell'edificio occupato dal commando somalo.
Personalmente trovo poco interessante se, una volta messo ordine in questo caos mediatico, i morti saranno stati 60 o 90. Se di fredda statistica si tratta, i drammi del Paese sono altri. Quello che trovo più allarmante, al contrario, è la totale disorganizzazione e mancanza di credibilità dell'azione delle forze armate e del governo kenioti. In effetti le rassicurazioni che giungevano da fonti ufficiali avevano quel non so che di tipicamente africano. "Tutto sotto controllo".
Cercando di rimettere in ordine le idee su quanto stesse succedendo a Nairobi però mi sono ricordato di un insegnamento importante. Nel raccontare una storia bisogna sempre cominciare dal principio.
Il principio, in questo caso, è l'invasione della Somalia nel 2006, avvenuta grazie all'appoggio statunitense. Le parole sono importanti, come recitava Nanni Moretti, ma anche i fatti. Che lo si chiami intervento armato, invasione terrestre, missione di pace o guerra, di quello si tratta. Certo, non deve essere affatto facile avere un vicino come la Somalia. Il desiderio di neutralizzare gli Shabaab, che all'epoca avevano minacciato di estendere la guerra al suolo keniota, è alquanto condivisibile, specie agli occhi di un occidentale laico poco incline alle ideologie integraliste e ortodosse. Tuttavia il modus operandi ha suscitato vibranti polemiche nel dibattito internazionale, nonché profondi risentimenti nel popolo somalo.
A distanza di sette anni dal 2006, oggi gli eventi ci hanno portato a conoscere quel grande centro commerciale di Nairobi come l'Eurospin sotto casa. L'aspetto più interessante è la gestione dell'emergenza da parte del governo keniota. Senza pretesa di dilungarmi su aspetti che restano avvolti da una fitta nebbia, risulta comunque evidente come questo abbia faticato poco per perdere di credibilità e far capire l'urgenza di un intervento esterno, giunto poi da Israele e dagli Stati Uniti. Allo stesso tempo, va anche sottolineata la grande solidarietà del popolo keniota che ha preso d'assalto (si fa per dire) i centri di crisi e gli ospedali per donare il sangue, che ha contribuito in prima persona ai soccorsi della Croce Rossa.
Una volta terminata questa vicenda resterà da capire l'estensione e la minaccia della rete terroristica che ha organizzato l'attacco e andrà chiarito il futuro dell'intervento in Somalia, che pochi mettono in dubbio. Questo potrebbe anzi essere rinvigorito a discapito dei civili, già vessati oltre ogni immaginazione. Abbiamo già assistito innumerevoli volte al sacrificio dei diritti fondamentali sull'altare della sicurezza e della lotta al terrorismo. Quanto alla prima, non è invece chiaro come i diversamente potenti mezzi investigativi kenioti possano sbrogliare la matassa.
sarà un caso che Nairobi ospita la sede africana delle Nazioni Unite e che, giustamente quel centro commerciale è (o era) il più frequentato da stranieri e da funzionari internazionali.
RispondiEliminaPiccoli Calchi Novati crescono
RispondiElimina