La
strada dall'aereoporto di Bissau è illuminata. Lo è da pochi anni,
ci rivela Maria. Maria è la coordinatrice spagnola dei 3 progetti, e
vive qui da otto anni.
Nicola,
Imma e Justyna resteranno a Bissau, dove collaboreranno con una
sezione della scuola primaria e secondaria di Sao Josè, chiamata
Gerico. Laura e Jorge andaranno a Cacheu, alla Cooperativa
Agropecuaria Joven Quadros; io e Sylvia a Quinhamel, presso Artissal,
una ONG che si occupa soprattutto di sviluppo locale attraverso il
Comercio Justo.
Dopo
qualche centinaio di metri in cui la strada sembrava più assestata
di una qualsiasi strada provinciale pugliese, l'asfalto scompare per
fare posto ad una terra battuta rossiccia impestata di crateri,
simili al grand Canyon ma con più bauxite. E con più buchi. Solo il
Palacio do Guvierno spicca tra i ruderi e le gru parcheggiate
tutte intorno, a bordo strada.
A
causa di questo dissesto idrogeologico fatto a strada, il nostro
cacciatorpediniere da rua si ferma spesso per evitare che qualcuno
salti fuori dalla macchina nel valico dei crateri sul terreno. Devo
confessare di aver pensato spesso: “Fa’ che non sia qui (il posto
dove dormiremo), ti prego fa’ che non sia qui”. La strada e’
costellata di baracche di legno davanti alle quali, con disarmante
incoerenza, sono parcheggiate macchine di grossa cilindrata, SUV e
cruiser della migliore estrazione giapponese e/o tedesca. Solo il
giorno seguente scoprirò che quella strada di giorno si trasforma in
un mercato a cielo aperto, che quelle baracche sono tiendas, e
che in realtà è un posto veramente strafigo. Nel frattempo Maria
risponde alle nostre domande su ciò che ci circonda, nonostante la
stanchezza di tutti. Mentre pregavo tutti i dei oggetto di culto in
Africa Occidentale che la nostra meta fosse un po’ più in là,
taaaaaaaaac, arriviamo a destinazione. Si vede ben poco di ciò che
ci circonda; la casa in muratura dove dormiremo è una struttura
momentaneamente inutilizzata, appartenente alla scuola di sao Jose’,
custodita dal solerte Serna – un giovanotto poco più che
quattordicenne, tozzarello e con una faccia simpaticissima. Non c’è
acqua corrente, ci va di culo perchè c’è la luce – a Bissau si
arriva fino ad un mese di fila senza corrente elettrica – e l’ampio
salone che compone il centro dell’abitazione ospita una grande
quantità di acqua in bottiglia, accanto a delle grosse taniche da 25
litri utilizzate per tutti i restanti scopi per cui solitamente
l’acqua viene impiegata. Peccato che, a seguito di un breve check
up da parte di Maria e del conducente del quale non ricordo nella
maniera più assoluta il nome (Joainho, Pipinho o affini), scopriamo
che i nostri galloni sono contaminati con olio da cucina e che quindi
possono essere utilizzati solo per lo scarico. Evvai.
Il
posto è tenuto con molta cura, (quasi) tutti i letti sono dotati di
zanzariere a baldacchino impregnate di repellente per mosquitos –
che in realtà risultano non
pervenuti, in tutto ciò sono le 5 e dopo un breve contatto
col posto e un timido approccio con i bagni si dorme che è una
meraviglia.
Il
giorno seguente, Maria ci raggiungerà con i galloni puliti – che
serviranno ai due ragazzi di stanza a Bissau – e ci accompagnerà a
Bissau per fare un giro, per cambiare gli euro in milioni di franchi
CFA e per comprare delle sim card locali. Ci svegliamo tutti prima
della sveglia e Maria tarderà di un bel po’. Dopo una colazione a
base di un pane davvero buonissimo con manteca e marmellata,
latte in polvere e colacao proviamo a mettere il culo fuori
dall’abitazione. Tutto ha un aspetto completamente diverso: case
disposte in maniera piuttosto irrazionale circondano Gerico, un sacco
di bambini, bambine, ragazze e ragazzi si recano alla scuola accanto,
con camicie bianche e treccine sgargianti. Destiamo l’attenzione di
tutti, con la nostra occidentalità che non smetterà mai di
sembrarmi completamente fuori luogo in un posto del genere; buona
parte dei bambini - che a scuola non ci va - si affaccia attraverso i
cancelli in metallo che circondano la casa. Alcuni sono piccolissimi,
camminano a malapena: ci ispezionano, e cominciano a chiamarci uno ad
uno per esaminare le nostre stranezze. Hanno dei sorrisi sgagnati che
trasmettono una semplicità inedita. Piedi scalzi, si arrampicano
sulle ringhiere, parlano criolo e si prendono in braccio a vicenda.
Ci
addentriamo nel quartiere, passiamo davanti alla scuola dalla quale
ci salutano tutti, i maestri interrompono le lezioni mentre un
lanciatissimo Jorge risponde a tutto ciò che ci dicono gridando
sorridente “No te entendìa nada!” e agitando il braccio in segno
di saluto.
Ad
occhio, sembra essere una delle zone più povere di Bissau. Invece
no, è la norma.
Anzi,
c'è una scuola! E' molto più della norma. La scuola di Sao Josè è
una delle tantissime scuole private della Guinea Bissau; qui di
scuole pubbliche praticamente non ce ne sono, e tutte le famiglie
pagano una retta per dare un'istruzione ai propri figli. A detta di
Diego - il direttore della scuola che ci accoglie nella struttura
principale dopo aver lasciato Gerico con Maria per una visita nel
cuore di Bissau – il Governo supporta le attività didattiche solo
a parole, senza cagare un franco. Lui sarà il primo dei tanti a
raccontare, insieme al suo lavoro quotidiano e di tutta la comunità,
di quanto sia una merda vivere sotto un governo illegittimo e
golpista. In ogni caso, sembrano messi bene: gli aiuti internazionali
arrivano, e portano computer, motociclette, materiale scolastico. E
soprattutto, nessuno di questi bambini mostra la benchè minima
traccia di tristezza, di male di vivere o chissà che.
Lasciamo
la scuola per visitare il centro di Bissau. Il palazzo presidenziale
è appena stato ristrutturato dopo i bombardamenti del 1998, durante
i quali fu raso al suolo il centro culturale francofono, anch'esso
appena ricostruito. Il parlamento è circondato da giardini
verdissimi, lo stadio è ben curato e anche bello grosso: tutto il
resto è un ammasso instabile di costruzioni, prevalentemente basse,
che andrebbero buttate giù e ripensate completamente.
La
piazza principale davanti al palazzo presidenziale è una mega
rotonda con una statua incomprensibile al centro, qui i ragazzini
vendono targetas per il telefono di tutti gli operatori telefonici.
La città è piena di manifesti pubblicitari della Orange, una
compagnia telefonica Vodafonofila che utilizza slogan come “ti
seguiamo ovunque vai”, con foto poco credibili di bambini ben
vestiti con lo zaino della scuola pronti per affrontare una vita
piena di magiche avventure. Nella stessa piazza c'è la sede del
Partito Africano per l'Autonomia e l'Indipendenza di Capo Verde. E'
un partito molto amato qui, anche se numerosi suoi esponenti – Joao
Bernardo “o ninho” Viera e Gomes, entrambi destituiti a suon di
colpi di stato - non hanno brillato certo per amore del pubblico e
amore per il popolo Guineano. Il primo ha aperto la guerra civile del
1998 e ospitato il traffico di armi già dagli anni '80, il secondo è
un ricco industriale proprietario della GALP, la principale industria
petrolifera del Paese. Il primo esiliato e poi ucciso un anno dopo la
sua rielezione, il secondo attualmente destituito dall'esercito e ora
in esilio in Portogallo.
Junicio,
uno dei ragazzi che insieme a Maria ci accompagna in giro per Bissau,
è un ragazzo di 20 anni, di etnia Balanta (la seconda etnia più
diffusa nel Paese) e partirà per l'Europa a breve, con lo stesso
progetto che ha portato me qui. Mi parla del PAICG come dell'unico
partito che abbia fatto qualcosa per il Paese, eliminando i conflitti
etnici e avviando politiche di sviluppo aperte alla comunità
internazionale, che però a furia di colpi di stato indietreggia
sempre di più da questo posto dimenticato da Dio ma soprattutto
dagli uomini.
A
Bissau c'è piazza Che Guevara. E il pub Che Guevara.
Pranziamo
con arroz e frango, riso e pollo in una salsa piccante veramente
buonissima. Ah, levatevi dalla testa l'idea che qui si mangia di
merda perchè non è vero. Durante il pranzo sentiamo una musica
fortissima a base di percussioni che sembrano suonate completamente a
caso. Compare dall'alto dei 2 metri e mezzo di muro senza tetto, una
testa con una maschera arancione. Un tizio sui trampoli si dimena per
strada, avvicinandosi con irruenza a chiunque superi il suo proximity
limit. I giocolieri fricchettoni europei questo se li mangia a
colazione.
Dopo
pranzo facciamo un giro di ambasciate giusto per farci vedere dagli
autorevoli rappresentanti dei nostri solidi Stati europei a Bissau.
L'ambasciatore
spagnolo, all'uscita dei locali climatizzati in barba al fatto che in
questa città passino giorni interi senza corrente elettrica, ci
congeda pronosticando la crisi totale del Paese. Este Pais va a
explotar! Ma non adduce altre argomentazioni rispetto a quelle
che costantemente vengono enumerate quando ciascuno parla della
propria nazione.
L'ambasciata
italiana qui non esiste. C'è un consolato, ma chiaramente il console
non c'è. Ma poco male.
Facciamo
ritorno alla scuola, per poi smistarci nelle rispettive collocazioni.
A
prenderci viene Max, un uomo sulla cinquantina con un pickup che
durante il viaggio verso Quinhamel scopriremo essere il presidente di
Artissal, l'organizzazione non governativa presso la quale lavoreremo
per i prossimi 6 mesi.
Karim,
se non scrivi un cazzo di intervento giuro che ti taglio la barba nel
sonno. Col machete.
mi raccomando, non parlare con sconosciuti e soprattutto non accettare caramelle!
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