giovedì 3 ottobre 2013

Prima parte - Biem vindo a Guinea Bissau

Da due giorni sono in Guinea-Bissau (se ve lo state chiedendo la risposta è no, non è un'isola dell'Oceania), e qui resterò per sei mesi.
Sono finito qua perchè tra le tante application compilate nel periodo post lauream per trovare un progetto di Cooperazione allo Sviluppo col quale poter lavorare, una è andata a buon fine.
Per la prima volta fuori dall'Europa, per la prima volta Natale fuori casa.

Sono arrivato qui il primo ottobre, insieme ad altri 6 ragazzi e ragazze (siamo 3 italiani, 3 spagnoli e una ragazza polacca) che l'Unione Europea ha deciso di spedire in questo posto di cui praticamente nessuno sa nulla. Ettecredo: è grande quanto la Lombardia e il Veneto messi insieme, ma ha lo stesso numero di abitanti di Milano; è tra i 20 Paesi con l'Indice di Sviluppo Umano più basso del mondo, e non ha abbastanza risorse naturali da stimolare l'interesse dei grandi poteri a livello internazionale tanto da riempire le colonne della stampa internazionale con qualche editoriale su quanto sia giusto farci scoppiare una guerra.

Eppure la Guinea-Bissau rispetta perfettamente la ricetta base del Club dei Paesi dell'Africa Occidentale: guerra di decolonizzazione per iniziare, libere elezioni con contorno di brogli elettorali, colpo di Stato en flambé e per concludere governo militare. Il tutto servito nell'indifferenza dei commensali delle Nazioni Unite, che raramente pagano il conto da queste parti.


La mia mente viziata dagli economicissimi viaggi Ryanair ha attivato l'Africa mode già al Terminal 1 di Milano Malpensa: per quanto mi riguarda, il mio check in poteva trovarsi in uno qualsiasi dei Paesi CFA. Il viaggio prevede uno scalo a Casablanca – dove recupereremo i 3 spagnoli, e successivamente a Praia, nelle isole di Capo Verde per uno scalo di servizio.
Fino a 10 secondi prima della partenza ero convinto che il viaggio durasse 50 minuti. Senza aver considerato fuso orario e ora legale e avendo illuso la povera Justyna che era in viaggio da molto prima e che aveva passato la notte sulle poltrone dell'aereoporto.
Sull'aereo per Casablanca – il primo nella mia vita in cui le hostess non sono bionde e con gli occhi azzurri – un signore sulla cinquantina ci prende in simpatia, convinto che fossimo diretti a Casablanca per starci. Pertanto ritiene giusto darci tutti i suoi recapiti, e certificare la sua affidabilità mostrandoci un paio di periodici sconosciuti nei quali compare la sua faccia sorridente al fianco di una donna giapponese. Non ho davvero idea del motivo per cui questo fosse finito su 'sto giornale, né tantomeno del perchè abbia deciso di dircelo. Ma tant'è. Sfogliando le pagine dell'edizione marocchina di Liberation, la sezione della politica internazionale è interamente dedicata alla crisi di governo della penisola, sotto il titolo “L'Italie va à nouveaux elections”. Tac.

All'aereoporto di Casablanca non si può fumare. E al duty free le sigarette costano comunque tanto. E'incredibile pensare come mi si fossero infrante già due tra le mie più rosee aspettative per questo viaggio. L'intraprendenza di Sylvia però ci porta ad uno dei fast food più desolati dell'areoporto, in cui un inserviente connivente ci consente di fare un paio di sboffate prima di prendere il volo della Royal Air Maroc per Bissau; lo stesso inserviente, con un climax ascendente di connivenza, si avvicinerà a noi per chiederci se la sigaretta rullata da Sylvia fosse una canna. Beh, certo, chiunque si fumerebbe una canna nell'aereoporto di un tollerante paese nordafricano. E sopratutto, pare che qui siano tutti immuni al mio 24 in Francese 1 e 2.

Il volo per Bissau è tutto una dormita. Ci svegliamo solo per mangiare, per scalare a Praia e per scendere dall'aereo; giusto in tempo per cogliere la somiglianza tra l'insegna “Aereopuerto internacional Osvaldo de Guinea-Bissau” e quella della latteria che c'era 10 anni fa vicino casa mia: sfondone bianco, lettere verdi e squadrate. Non credo di essermi ancora fatto un'idea su quali fossero le mie sensazioni al momento dell'arrivo. Certo, i militari in aereoporto non sono esattamente l'accoglienza che tiriempie il corazao. All'arrivo – 2:45 a.m. ora locale, due ore in meno rispetto al fuso italiano – c'è Maria ad accoglierci. Maria è la coordinatrice del progetto EVS in Guinea-Bissau, e sarà il punto di riferimento di tutti, pur vivendo in 3 città diverse.

Pur essendo ormai le 3 del mattino, all'uscita dell'aereoporto ci sono, insieme a los carros dell'organizzazione che ci ospiterà a Bissau per la prima notte e relativi cordialissimi membri, un sacco di ragazzini che insistono moltissimo per aiutarci con le valigie in cambio di denaro. Che tralaltro mettono alla prova i miei già vacillanti skills ispanici con un crìolo bisbigliato. Fuori è praticamente buio. L'aria ha un odore aspro, enfatizzato da livelli di umidità illegali. Intanto si realizza un'altra rosea aspettativa: un viaggio per un posto sconosciuto, su una macchina tutta scassata, sovraffollata e su una strada altrettanto scassata.

2 commenti:

  1. Un grande maestro una volta mi disse "Uno più uno, uomo non fa sei".
    3 italiani, 3 spagnoli, una polacca, uomo non fa 6! Minghieee

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  2. nei tre italiani ero compreso io
    il primo che fa una battuta sulla mia provenienza geografica lo banno

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