Cari Palle,
Rileggo i nostri post in
questo venerdì sonnolento..e penso che questo blog sia un piccolo gioiello. Ci
sono il sogno di un mondo migliore, la nostalgia, la paura e la curiosità, le
debolezze (nonché le frustrazioni) accompagnate da sforzo creativo. Anche se
lontani, dispersi nel mondo non siamo altro che lo specchio del nostro Paese.
Nel nostro piccolo siamo spasimanti dell’innamorata impossibile di Ciccio,
quell’Italia in preda a fibrillazioni ed in cerca di un cammino, di
un’identità, di un futuro. La maggior parte delle volte senza una meta precisa,
trasportati da eventi che non avevavmo nemmeno immaginato nella nostra vita.
La meglio gioventù
insomma. Ma a differenza di quella degli anni sessanta il Paese non lo abbiamo
conquistato con le unghie ed i denti. Lo stiamo lasciando marcire... tutti o
quasi..peccato..
Non scrivo da un po’
perché la Zingarata ci ha riuniti e per pochi giorni abbiamo lasciato le nostre
vite da parte per tornare gioiosi al nostro glorioso passato ed alla nostra essenza
di fancazzisti. Tornato in Medio Oriente la luce mi è giunta dalla Sicilia
sotto le sembianze di una ninfa..ma solo per due settimane. Ora la mia quotidianità
si scandirà nuovamente stressante e senza fibrillazioni nel mio paradiso di
plastica.
Ammantato dal mio
pseudonimo aristocratico oggi vi voglio deliziare con una storia surreale:
C’era una volta in un paese lontano
lontano, un reame esotico e fatato dove le ricchezze scorrevano a fiumi, le
strade erano piene di carri sfavillanti, le dimore dei signori e dei lori
vassalli si ergevano in cielo colme d’oro e specchi. I nobili erano
intoccabili, altezzosi e sfuggevoli nei loro lunghi abiti bianchi; i mercanti
erano opulenti, affabili ed avidi; le cortigiane bellissime, da ogni parte del
globo, allietavano gli spregiudicati avventori; i servi, trattati come bestie,
nella loro umana erano tra i pochi con sorrisi sinceri.
Tutta la gente del reame aveva un sogno ed una
maschera. Tutti ad inseguire una felicità che forse era l’unica moneta che
scarseggiava in quel non luogo. L’unica. Per il resto le valute, mercanzie e le
scienze del mondo conosciuto in quel posto si riunivano e si moltiplicavano. Le
genti erano innumerevoli e da ogni angolo delle terre conosciute, ma tutte
accumonate da un solo Dio. Quel Dio, coniato oltre oceano, verde come le oasi,
si aggirava velocissimo e frenetico per le strade e nei palazzi. E tutti erano
accorsi nel reame per adorarlo e nella speranza vana che fosse la chiave della
loro felicità.
In questo paradiso il Signore unico che regnava
aveva voce ed ultima parola su tutto. Lui ed i nobili erano investiti di un
potere mistico ed oscuro che sgorgava dalle sabbie delle sue terre. Benevolo e lungimirante
aveva reso una landa desolata un centro del mondo. Ma il reame nella corsa
folle verso la grandezza aveva dimenticato il senso della misura..ed aveva
obliato il valore del sale della vita: l’ironia.
Un giorno una saltimbanco qualunque, proveniente
dalla terra di Dio, impalcò un breve spettacolo, una farsa, che con l’aiuto dei
marchingegni portati da Occidente giunse allo sguardo di migliaia di persone
naviganti. La farsa era di poco conto e dipingeva il Reame come una terra dove
un banda sgangherata di giovani malavitosi metteva in discussione il potere
costituito lanciando ciabatte. Si lanciando ciabatte. Il Reame era dipinto in
maniera imperitinente, irriverente, non degna del suo sfarzo e della sua opulenza.Ma
era un quadro del tutto innocuo. Tuttavia, quel saltimbanco aveva osato troppo.
La sua farsa era pericolosa per il Signore. E se qualcuno avesse osato emularlo
ed andare oltre nel coltivare la pericolosa ironia del potere? E se altri
altrove avessero visto quelle fandonie?
Il saltimbanco venne subdolamente attirato dalle
guardie. “Solo un controllo” dissero...Venne chiuso in galera per un anno e poi
venne bandito dal Regno. Per sempre. Ma non era abbastanza. No. L’onta va
lavata, non solo scontata. Il saltimbanco fu “invitato” pubblicamente a dire
come l’anno in carcere lo avesse fatto maturare e crescere, come il suo crimine
fosse stato compreso e che non avrebbe mai potuto nutrire rancore per il Regno
che per uno slancio ironico lo aveva solo punito e bandito. Umiliato, sconfitto
e cacciato il saltimbanco scomparse e con lui la sua spicciola ironia....
La continuazione di questa storia vera o
verosimile sta ancora venendo scritta in quel Regno. Non c’è una morale o un
insegnamento da trarre dalla vicenda umana di un uomo incarcerato per innocua
irriverenza. Ma rimane una domanda. Quanto può l’opulenza e l’arroganza
eclissare il sorriso e l’ironia; proprio quell’ironia che è lo strumento più
semplice e potente per rimembrare che siamo tutti uomini, in baracca o in
grattacielo, e che un giorno, come diceva il Principe Totò, arriverà ‘a
Livella'?
pensavo anche io di scrivere una cosa sul discorso "ricchezza povertà" qui in Tunisia...ma non ti aspettare la favoletta :)
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