venerdì 17 gennaio 2014

A Livella (CDM)




Cari Palle,
Rileggo i nostri post in questo venerdì sonnolento..e penso che questo blog sia un piccolo gioiello. Ci sono il sogno di un mondo migliore, la nostalgia, la paura e la curiosità, le debolezze (nonché le frustrazioni) accompagnate da sforzo creativo. Anche se lontani, dispersi nel mondo non siamo altro che lo specchio del nostro Paese. Nel nostro piccolo siamo spasimanti dell’innamorata impossibile di Ciccio, quell’Italia in preda a fibrillazioni ed in cerca di un cammino, di un’identità, di un futuro. La maggior parte delle volte senza una meta precisa, trasportati da eventi che non avevavmo nemmeno immaginato nella nostra vita.
La meglio gioventù insomma. Ma a differenza di quella degli anni sessanta il Paese non lo abbiamo conquistato con le unghie ed i denti. Lo stiamo lasciando marcire... tutti o quasi..peccato..
Non scrivo da un po’ perché la Zingarata ci ha riuniti e per pochi giorni abbiamo lasciato le nostre vite da parte per tornare gioiosi al nostro glorioso passato ed alla nostra essenza di fancazzisti. Tornato in Medio Oriente la luce mi è giunta dalla Sicilia sotto le sembianze di una ninfa..ma solo per due settimane. Ora la mia quotidianità si scandirà nuovamente stressante e senza fibrillazioni nel mio paradiso di plastica.
Ammantato dal mio pseudonimo aristocratico oggi vi voglio deliziare con una storia surreale:


C’era una volta in un paese lontano lontano, un reame esotico e fatato dove le ricchezze scorrevano a fiumi, le strade erano piene di carri sfavillanti, le dimore dei signori e dei lori vassalli si ergevano in cielo colme d’oro e specchi. I nobili erano intoccabili, altezzosi e sfuggevoli nei loro lunghi abiti bianchi; i mercanti erano opulenti, affabili ed avidi; le cortigiane bellissime, da ogni parte del globo, allietavano gli spregiudicati avventori; i servi, trattati come bestie, nella loro umana erano tra i pochi con sorrisi sinceri. 

Tutta la gente del reame aveva un sogno ed una maschera. Tutti ad inseguire una felicità che forse era l’unica moneta che scarseggiava in quel non luogo. L’unica. Per il resto le valute, mercanzie e le scienze del mondo conosciuto in quel posto si riunivano e si moltiplicavano. Le genti erano innumerevoli e da ogni angolo delle terre conosciute, ma tutte accumonate da un solo Dio. Quel Dio, coniato oltre oceano, verde come le oasi, si aggirava velocissimo e frenetico per le strade e nei palazzi. E tutti erano accorsi nel reame per adorarlo e nella speranza vana che fosse la chiave della loro felicità.
In questo paradiso il Signore unico che regnava aveva voce ed ultima parola su tutto. Lui ed i nobili erano investiti di un potere mistico ed oscuro che sgorgava dalle sabbie delle sue terre. Benevolo e lungimirante aveva reso una landa desolata un centro del mondo. Ma il reame nella corsa folle verso la grandezza aveva dimenticato il senso della misura..ed aveva obliato il valore del sale della vita: l’ironia.
Un giorno una saltimbanco qualunque, proveniente dalla terra di Dio, impalcò un breve spettacolo, una farsa, che con l’aiuto dei marchingegni portati da Occidente giunse allo sguardo di migliaia di persone naviganti. La farsa era di poco conto e dipingeva il Reame come una terra dove un banda sgangherata di giovani malavitosi metteva in discussione il potere costituito lanciando ciabatte. Si lanciando ciabatte. Il Reame era dipinto in maniera imperitinente, irriverente, non degna del suo sfarzo e della sua opulenza.Ma era un quadro del tutto innocuo. Tuttavia, quel saltimbanco aveva osato troppo. La sua farsa era pericolosa per il Signore. E se qualcuno avesse osato emularlo ed andare oltre nel coltivare la pericolosa ironia del potere? E se altri altrove avessero visto quelle fandonie?  
Il saltimbanco venne subdolamente attirato dalle guardie. “Solo un controllo” dissero...Venne chiuso in galera per un anno e poi venne bandito dal Regno. Per sempre. Ma non era abbastanza. No. L’onta va lavata, non solo scontata. Il saltimbanco fu “invitato” pubblicamente a dire come l’anno in carcere lo avesse fatto maturare e crescere, come il suo crimine fosse stato compreso e che non avrebbe mai potuto nutrire rancore per il Regno che per uno slancio ironico lo aveva solo punito e bandito. Umiliato, sconfitto e cacciato il saltimbanco scomparse e con lui la sua spicciola ironia....
La continuazione di questa storia vera o verosimile sta ancora venendo scritta in quel Regno. Non c’è una morale o un insegnamento da trarre dalla vicenda umana di un uomo incarcerato per innocua irriverenza. Ma rimane una domanda. Quanto può l’opulenza e l’arroganza eclissare il sorriso e l’ironia; proprio quell’ironia che è lo strumento più semplice e potente per rimembrare che siamo tutti uomini, in baracca o in grattacielo, e che un giorno, come diceva il Principe Totò, arriverà ‘a Livella'?


Il Conte

1 commento:

  1. pensavo anche io di scrivere una cosa sul discorso "ricchezza povertà" qui in Tunisia...ma non ti aspettare la favoletta :)

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