In criòlo, i verbi “apprendere” e
“imparare” non esistono.
Esiste il verbo “obi”, che
significa sia “ascoltare” o “imparare ascoltando”, e il verbo
“odja”, che significa “vedere” o “imparare vedendo”. Ci
ho messo un po' a capirlo, quando mi dicevano “bu obi criòl
dritu!”, ossia “hai imparato bene il criolo!”, smentendo quindi
l'affermazione di questi falsi adulatori o semplicemente
incoraggianti e cordiali guinieensi. Oppure quella volta in cui
Demba, mandinga, rasta, e suonatore di Djimbè mi disse ripetutamente
“N'misti obi kil cançon ku viola” - “Voglio imparare a suonare
questa canzone con la chitarra” mentre suonavo nel furgone il
grande classico “Brigante se more”. Immaginate il disastro, se ho
capito “ascoltare” anziché “imparare”.
Credo possa essere interessantissimo
chiedersi il perchè non esista un verbo che significhi “apprendere”,
il perchè l'apprendimento possa essere semanticamente ristretto ai
sensi dell'udito o della vista. Che poi a pensarci bene, non ci sono
moltissimi altri modi per imparare le cose se non vedendo e
ascoltando, magari è solo un approccio un po' più quantitativo ad
un processo mentale che indubbiamente è tra i più affascinanti,
oltre che tra i più difficili da formalizzare. E poi sicuramente per
tutto ciò che si apprende utilizzando altri organi che non siano
occhi e orecchie ci saranno altri verbi suppletivi, quindi diciamo
che porsi il problema potrebbe essere una perdita di tempo.
Fatto sta che
Sto dando un corso di inglese. Due per
la precisione: uno per studenti e uno per professori.
Nella biblioteca della Cooperativa
Escolar Sao Josè, alla cui realizzazione ho minimamente contribuito
con un pochino di manodopera tutte le volte che a Bissau sono rimasto
qualche giorno dopo il weekend - per motivi che non corrispondono esattamente alla necessità di velocizzare i lavori nella biblioteca - ho trovato moltissimi libri di
inglese dei licei portoghesi dai quali fotocopio materiale ed
esercizi da dare ai miei studentelli per esercitarsi un po' a casa.
My niggas |
Sono stato a parlare con il direttore
della scuola di Quinhamèl, Nino ah e tu ti chiami Bernardo? E allora
insieme siamo Joao Bernardo Nino Viera!*
Prima di cliccare sul link consiglio di leggere quanto segue. Le foto che linko le ho trovate scartabellando nell'hard disk della ONG, ritraggono il Viera morto e trucidato dai militari cui sono succeduti gli attuali governanti golpisti. Pensavo di aver trovato una miniera d'oro e di aver scoperto un complotto, invece sono - inspiegabilmente - a disposizione del popolo guineense tutto e non solo. Pertanto ho proceduto a dissolvere qualsivoglia dubbio rispetto alla totale legalità della pubblicazione delle suddette.
L'evocativo Nino mi ha detto che si,
sarebbe proprio bello fare un corso di inglese per gli studenti! Ma
potresti aprirlo anche ai professori? Ce ne sono molti che vorrebbero
imparare, però il livello è proprio basico basico.
Un po' di studenti li conosco, tutti
tra il settimo e il dodicesimo anno di scuola; alcuni l'inglese lo
parlano meglio di altri, anche se secondo Nino il livello di
insegnamento è talmente basso che tutti i ragazzi hanno gli stessi
language skills. In più, ancor prima che arrivasse il giorno
in cui si sarebbero aperte le iscrizioni avevo 50
studenti iscritti e 30 professori – nonostante avessi indicato in
un cartello scritto in portoghese e criolo affisso a scuola che i
posti fossero 10 per corso. Ma chi sono io per negare a questi
volenterosi discenti le perle di un pugliese che dice ancora “bicòus”
anziché “beacause”!
Pertanto ho pensato, stanti queste
condizioni, che fosse sensato dividere gli studenti in due corsi –
uno più avanzato e uno più basico. Questo lo avrei fatto solo dopo
aver fissato una riunione con gli studenti in cui avrei valutato il
livello di ciascuno. Ma che stronzata pazzesca.
Innanzitutto alla riunione si sono
presentati la metà degli iscritti, e alcuni professori “che
avevano capito male”, uno smargiasso che l'inglese lo sapeva
benissimo ma voleva provarci con le tipelle, mostrando a tutti la sua
pronuncia ammiccante e la capacità di sostenere la capacità con il
titchà più scarso d'Europa. Quando ho cercato di spiegare le mie
intenzioni rispetto alla divisione del corso, a parte il James Joyce
dell'Africa Nera che continuava ad intervenire in inglese mentre io
spiegavo in portoghese affinchè tutti capissero, tutti mi hanno
risposto con degli sguardi attoniti e domande fuori posto che mi
hanno fatto immediatamente abbandonare l'idea di selezionare gli
studenti e decidere improvvisamente che quella sarebbe stata la prima
lezione con gli studenti. A parte l'impossibilità di spiegargli che
non si dice “shkul” ma “school”, seguivano tutti in religioso
silenzio, nel frattempo qualcuno vedeva da fuori quello che succedeva
nella Casa da Joventude e origliava curioso, mentre i più impavidi
chiedevano di entrare – senza che gli venisse negato, ovviamente.
Tuttavia, leggermente urtato dalla
defezione di metà degli studenti iscritti ho aspettato il giorno
seguente per la riunione con i professori che, vittima di categorie
mentali inapplicabili in questa terra, ho ritenuto più affidabili
degli studenti.
Alla riunione sono rimasto solo, non è
venuto neanche uno. Qualcuno qui mi ha detto “dovevi farlo a
pagamento, e sarebbero venuti tutti”, oppure “ti devi mettere
nella testa dell'africano, non incazzarti e fare in modo che si
comporti da europeo”. Non intenzionato a fare nessuna delle due
cose, la mattina sono andato a scuola incazzato col direttore, che
con un “Esquessì!” - “Mi sono dimenticato” ha messo una
pezza sul pacco del giorno prima; sono che non si era dimenticato
solo di venire alla riunione con gli altri professori iscritti, ma
anche di avvisare questi ultimi – un incarico del quale si è
autoinvestito, e del quale mi sarei fatto carico volentieri.
Ho deciso di rilassarmi un secondo, e
di fare le cose un po' più easy. Le lezioni seguenti hanno visto una
partecipazione ben più cospicua, in termini qualitativi e
quantitativi – più con gli studenti che con i professori. Alla
domanda “how old are you” hanno risposto tutte le volte dicendo
un età diversa, raggiungendo una sorta di equilibrio di Nash sul
livello di 19 anni; non so se questo accade solo perchè non sanno
bene i numeri, o perchè si sono resi conto che tutte le ragazze che
ci sono al corso non superano i 19 anni.
Sono tutti estremamente volenterosi
quanto timidi, parlano sempre con la mano davanti alla bocca e ridono
due ore prima di iniziare a rispondere alle domande. Sono sicuramente
vittime di un sistema scolastico di qualità bassissima, copiano
forsennatamente dalla lavagna anche senza aver capito nulla di quello
che è stato detto. E la cosa impressionante è davvero il fatto che
il livello varia assolutamente a prescindere dagli anni di studio
della lingua, più al variare del numero di canzoni di Lil'Waine e
rasta jamaicani di sorta che ascoltano durante il giorno.
Ho protestato per anni contro il
sottofinanziamento dell'istruzione pubblica, contro i tagli dei
governi che dal 2005 si sono succeduti nel Belpaese per le mani di
Moratti, Fioroni, Gelmini e Tremonti – ma quando sono finito in una
discussione tra turisti spagnoli radical chic che facciamo il turismo
responsabile, ma come non ce le hai le birrette? No perchè con le
noccioline di qua sono proprio buone, e che palle sempre riso, ma non
ce l'hai qualcos'altro – i quali sostenevano che il pubblico deve
costruire scuole pubbliche e che le scuole private dovrebbero
chiudere mi sono proprio incazzato. Perchè qui senza scuole private
(alcune sono ex scuole di partito, altre cooperative laiche e alcune
realizzate da missioni cattoliche) non ci sarebbe neanche quel poco
di istruzione che c'è. I professori delle scuole pubbliche non sono
stipendiati da mesi, e a ragion veduta i docenti vanno ad insegnare
nelle scuole private – con rette da 2000 franchi al mese, 3 euro –
a volte anche lasciando l'impiego pubblico. E le scuole pubbliche
sono pienissime, per carità, le scuole private non drenano l'utenza
scolastica ma nascono per sopperire alle mancanze dello Stato,
contrariamente a quanto succede a nord del Mediterraneo e al di là
dell'Oceano Atlantico.
Serve la rivoluzione, certo che serve. Ma senza istruzione non c'è rivoluzione, e se si aspetta che sia questo governo golpista a mandare la gente a scuola, stiamo più che freschi.
Serve la rivoluzione, certo che serve. Ma senza istruzione non c'è rivoluzione, e se si aspetta che sia questo governo golpista a mandare la gente a scuola, stiamo più che freschi.
La mia ONG chiuderà a fine febbraio.
Le ragioni sono molte, la verità è che questa ONG a conduzione
familiare altro non è – era – che una microimpresa, dove
l'impressione è costantemente quella di lavorare per i benefici di
un gruppo ristretto di persone. Io e Sylvia saremo ricollocati per il
mese di marzo in altri progetti, e salterà il mio corso senza grandi
pretese ma che costituiva l'unica forma di contatto con la comunità
di Quinhamèl dal punto di vista lavorativo. Non cambierà la vita a
nessuno, magari. Ma questa ONG continuerà a possedere una struttura
come la Casa de Joventude, con spazi e strumenti mai utilizzati se
non per il corso di cui sopra; e questa ONG non esisterà più, così
come molte hanno smesso di esistere fino a questo momento. Tutto
questo con i soldi dei contribuenti o con delle donazioni, che
costituiscono in questo caso uno spreco di denaro ingiustificabile.
Cosa manca qui perchè qualcosa cominci
a funzionare? Forse manca un po' di serietà, forse mancano le
presenze istituzionali, la consapevolezza di vivere in una comunità, in un sistema complesso; forse manca gente che si dedichi a questi
progetti in modo continuativo, dalla parte di chi finanzia e di chi
viene finanziato. Lo stesso Cabral, parlando del suo popolo,
sosteneva che una persona non può essere lasciata troppo tempo nello
stesso posto, altrimenti comincerà a lavorare male, ad approfittare
delle occasioni e a rendere poco.
Ma fa davvero molta rabbia – e questo
post è riduttivo da questo punto di vista – vedere come una grossa
opportunità venga sprecata non solo ora, ma come sia stata sprecata
sino ad ora. E diciamolo, anche vedere come il contributo profuso sino a questo momento da parte mia sarà solo un vano tentativo di raddrizzare qualcosa, se non sarà utilizzato per fini che non condivido del tutto, se non per niente, da persone che non meritano neanche le briciole.
La mentalità africana, i ritmi, quello
che vi pare. Ma se “si fa molto meno di quello che si può”,
forse è il caso davvero di cominciare a fare il massimo per il solo
amore dell'uguaglianza tra gli esseri umani.
Post Scriptum
Karim, lento coautore di questo blog che con le sue boutades rarefatte ha contribuito al riempimento di queste pagine, domani se ne va in Svezia e malauguratamente non potrò salutarlo come ha fatto lui con me accompagnandomi fino all'aereoporto. In Svezia fa freddo e i pomodori d'inverno col cazzo che crescono, ma so che te ne farai una ragione. Boa viagem!
L'Afrique. La tua incazzatura è comune a molti sotto il Sahara. Non puoi immaginare quanto ti capisca.
RispondiEliminaDa quelle parti ci potrai ritornare fra 30 anni e non vedere un singolo miglioramento. C'è da essere realisti, non farsi il sangue amaro.
O forse c'è da fare le cose in maniera completamente diversa, senza comunque pensare che la soluzione sia davanti agli occhi e semplicemente non si riesce praticarla; forse la soluzione ancora non c'è, ma voglio confidare nel fatto che ci sarà
RispondiEliminaCaro Giovanni, tu parli come Saruman dopo che si era fatto soggiogare da Sauron e si appigliava al realismo per convincere che non c'era nulla da fare. I realisti hanno sempre ragione ma il post di bern, nonostante la frustrazione, chiudeva lasciando aperte le porte a qualcosa che non è la rinuncia. Concedicelo. Non perché avremo ragione, cosa che non avremo mai, ma perché è già tanto difficile trovare le motivazioni per provarci ancora.
RispondiEliminaIl cuore va con un Giovanni, la ragione con l'altro...
RispondiElimina