A una settimana dal rientro in Italia,
finalmente riesco a prendere il coraggio a due mani per scrivere
qualcosa su questo rientro al quale faccio un po' di fatica ad
attribuire un qualsiasi odore o sapore.
Grazie al cazzo - mi direte -
è un rientro, mica una zuppa.
Lasciamo un Paese in piena campagna
elettorale. “Lo sai che in Guinea Bissau abbiamo due carnevali?
Durante il primo sfilano i carri e le maschere, durante il secondo
candidati con auto starnazzanti. E
ta ngana djintis – ingannano
la gente”.
Le
elezioni presidenziali e governative si dovevano svolgere a novembre,
ma l'iscrizione ai registri elettorali unita al congresso di quello
che fino al 94 era il partito unico hanno fatto slittare la data
prima a marzo, poi ad aprile; con il sommo rammarico di perdersi
questo momento vissuto da tutti come un evento eccezionale, ciascuno
schierato col suo e a difenderlo in tutti i kandonga
e nelle bancadas.
Si presentano in 14 candidati, ma esistono solo 10 partiti. Kumba Yala,
presidente nel 2000 dopo aver sconfitto il regime di Nino Viera nella
guerra civile e creatore del primo grande partito dall'avvento del
multipartitismo e alternativo al PAICG, il Partido de Renovação
Social, questa volta sostiene un candidato diverso da quello
sostenuto dal suo partito, Nuno Gomes Nabiam. Kumba scompare in circostanze poco chiare,
qualche settimana fa; qualcuno dice che se lo sono portato in
Nigeria, qualcun altro che è in Guinea Bissau e che verrà
processato per un reato non noto. Muore di infarto qualche giorno fa.
Nuno Gomes Nabiam
indossa lo stesso cappellino tradizionale dell'etnia Balanta che ha
sempre contraddistinto il guerrafondaio che si erge a eroe della
patria, ora stroncato da un malore - stando alle fonti ufficiali.
Questa
volta ci troviamo davanti alle prime elezioni in cui i candidati non
hanno raggiunto la fama in quanto fautori dell'indipendenza unilaterale, dichiarata nel 1973. Questa volta c'è candidata l'élite intellettuale. Ma nei
villaggi si vota per l'appartenenza etnica, o per un sacco di riso.
L'elettorato dell'interno del Paese è un elettorato facile da
spostare, molto attaccato ai personaggi storici che hanno segnato la
rivoluzione, che continuano a vegliare su un popolo sconquassato
dagli strascichi di una guerra che li ha liberati dai tuga,
i portoghesi, e che adesso qualcuno ha il coraggio di rimpiangere. Un popolo pacifico che riesce inspiegabilmente ad avere ancora fiducia nei responsabili di guerre civili e colpi di Stato.
Non
scompaiono ancora le figure che hanno condizionato il nascere e gli
esiti di una guerra civile inutile e dannosa, che ha lasciato delle
ferite ancora aperte e che ha fermato quella che sembrava essere
l'emancipazione di un Paese, almeno ai più ottimisti. Bissau
ka na diskansa inda – Bissau
non si è ancora ripresa.
Non
scompaiono i candidati che piacciono all'esercito, la divisione è
tra governativi e antigovernativi. Carlos Domingos Gomes detto
Kadogo, presidente esiliato dopo essere stato deposto dal colpo di
Stato guidato tra gli altri dal colonnello Antonio Indjai (già
coinvolto nella guerra civile contro Viera nel '99 e supportato dai
separatisti della Casamança senegalese), divide l'opinione pubblica con il suo ipotetico ritorno. Qualcuno
tra gli elettori del suo partito – il PAICG – dice che ha fatto
il suo tempo (senza neanche essere riuscito a governare pur avendo
vinto al secondo turno), che il suo ritorno comporterebbe solo il
nascere di nuovi problemi che distoglierebbero l'attenzione dei vigli
governanti che amministreranno la cosa pubblica, che non ci sono
garanzie per la sua sicurezza, e via giù con le scomode conseguenze
di riportare in patria un folle che si è sognato di vincere le
elezioni presidenziali. Il suo principale concorrente dell'epoca,
Manuel Serifo Nhamadjo e attuale presidente della Repubblica, nel 2012 dopo il ballottaggio sfrutta i
malcontenti di una piccola elite militare per salire al potere
illegittimamente, avvalendosi dell'inazione che aleggia intorno ad un
weak state come la Guinea Bissau. La comunità internazionale
rimprovera, l'ECOMIB non riconosce il Governo golpista sin quando lo
stesso non piega la testa davanti alla proposta, avanzata dalla
comunità di Stati dell'Africa Occiedentale, di formare un Governo di
transizione, con le opposizioni dentro in attesa di nuove elezioni.
Il risultato è un governo di corrotti pressoché senza opposizione
che ritarda il processo elettorale e rifà le strade un mese prima
dell'ultimo appuntamento elettorale.
Grandi intese e trucchetti da
sindaci di provincia non sono un unicum
della politica italiana.
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All'aereoporto di Bissau ci tocca
riaprire le valigie – il controllo è empirico in assenza di
scanner – ma il solo fatto che siamo (stati) volontari ha
dissuaso i solerti uomini dell'ordine dall'approfondire
eccessivamente il contenuto dei nostri bagagli, pieni dei panni
regalatici da Raul, dei vestiti sporchi consumati dalla stagione
secca, dai pilòn, i pente, le cianfrusaglie e i regali da portare a
casa.
Qualche sigaretta di
nascosto con i vigliantes nello “stanzino vip”; stavolta il
tabacco ha un sapore diverso rispetto a quello fumato in autunno a
Malpensa in attesa dell'aereo di andata. Sarà che stavolta una
stecca di Marlboro costava sei euro anziché cinquanta.
L'aereoporto di Casablanca
aiuta forse a spezzare, non si capisce bene da che parte siamo del
Mediterraneo a momenti, tanti turisti dopo tanto tempo, tanti
bianchi, il francese, i giardini curati, i pavimenti che riflettono
la luce, il fresco, la gente in giacca cravatta e soprabito. Una
specie di camera iperbarica.
Il saluto. L'impressione
netta di dire arrivederci per poi rivedersi davvero, e continuare da
dove ci si è fermati - il che non impedisce alle lacrime di varcare
la soglia che le rende visibili. Insieme a qualcuno, senza qualcun' altro, in un altro posto o negli stessi luoghi, ma questa volta poco
importa.
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Il viaggio per la Penisola
è tutto un sonno.
L'arrivo è un dormiveglia
dopo un sonno lungo e pesante, come anche i giorni successivi.
Casa Bertone è la stessa,
i divani rossi, i soppalchi, i coinquilini presenti e passati che in
qualche modo hanno sempre un posticino tra la polvere e le superfici
originarie, e lo stesso vale per gli avventori più affezionati. Per
disfare le valigie ci vogliono giorni e molte lavatrici, mentre basta
molto meno per riabituarsi ai ritmi e alle abitudini di una casa di
studenti. Anche Radio è la stessa, alla sera, durante l'assemblea
dei soci. Lo è la gente del Coordinamento, le facce di sempre ma
sempre fresche, la plenaria, la cena con un “vecchio” amico.
Le domande erano attese e
temute da mesi, ma aiutano a metabolizzare. Qualcuno chiede “Cioè
ma davvero te lo volevo proprio chiedere, ci ho pensato per sei mesi,
caspita, ma davvero mi vuoi dire che mangiavate riso tutti i giorni?”,
qualcun' altro è interessato a sapere com'è sta storia del
presidente della ONG in prigione, ma sto stronzo, ma tu pensa un po'
che roba.
Io me ne torno a casa con
un altro anno da recuperare nella folle corsa all'adempimento degli
studi nei sogni di una vita, o nella speranza di fortuna, e con un
pezzetto in più a comporre un puzzle senza istruzioni né
riferimenti. Con una finestra davanti, al di là della quale si
aprono strade nuove e percorsi possibili.
Non ho trovato la ricetta
del mondo nuovo e giusto, ma almeno parto dagli ingredienti che ne impediscono la riuscita. Non ho visto le cose funzionare bene, non ho
elaborato il sistema definitivo, se penso al “mal d'Africa” di
mali me ne vengono in mente tanti tra quelli che affliggono il
continente più bistrattato del pianeta.
I panni colorati mi
ricordano gli abiti ampi, le tavole rozze, le strade polverose, gli
odori forti del mercato di Caracol, i raffazzonati mezzi di
locomozione, le folle, i palazzi coloniali, le discussioni accese, la
stanchezza ad ogni piè sospinto, i tratti duri, quelli più dolci
dei bambini.
Sono immagini che spero
non svaniscono, come il briciolo di consapevolezza in più che pesa
come un macino nello zaino. Penso di aver capito molto di quello che
voglio fare, ma sopratutto di quello che non voglio fare, che farò
in modo che non succeda intorno a me, di dove voglio collocarmi nella
mappa sconfinata che si articola nel sistema complessissimo in cui
viviamo.
Gli amici lontani mandano
segnali ad andamenti alterni, la conversazione digitale porta come
oggetto “depression international”. Qualcuno di loro è logorato,
o almeno pensa di esserlo, qualcun altro è rinvigorito. Io sono
ripulito, lavato. Ancora non ho visto il mio Sud.
E nel cortile che ha
ispirato i racconti di questi mesi, che ha tenuto insieme i pezzi,
ancora non sono riuscito a metterci piede.
Grazie bern
RispondiElimina" Al Nord i nordici, al Sud i sudici'' Proverbio Danese.
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