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lunedì 7 settembre 2015





Sono sicuro che la ricordate bene quell’ultima notte di due anni e mezzo fa alla Festa di Laurea in cui eravamo tutti insieme.

Ciccio non sapeva che qualche mese dopo sarebbe partito per il nord Africa, Karim aveva appena discusso la tesi dopo una pre-serata peripatetica (senza prostitute), Michele era ancora inebriato da Quito, Giovanni fresco di Sierra Leone usciva ancora con la Conte, Bernardo era ancora lider maximo della Pavia leggendaria che fu nostra, Ferma ancora non era diventato il nostro DJ camuno e leggeva poesie, io, in preda alle mie paturnie sentimentali, facevo le valigie per l’Arabia Felix (?).

Quella notte cercammo di scacciare la tristezza con qualche bicchiere di troppo sapendo che sarebbe stato difficile riunire tutto il gruppo di nuovo. Ed ancora non è successo. Un po’ impauriti che ci saremmo naturalmente persi. Sapevamo che il nostro cammino non sarebbe stato lineare. Tanti kilometri, aerei e città, cantieri, selve e giungle di cemento si sarebbero susseguite senza una logica apparente. Non sapevamo se saremmo stati ancora tutti qua, uniti, seppur sparsi in 4 continenti. Ma siamo ancora quel Cortile che eravamo. E senza saperlo siamo una storia degna di essere raccontanta.

Stanotte ho sognato un Natale tutti insieme (chissà quando succederà) e noi che dopo qualche anno dai saluti di quella notte epica di metà aprile ci raccontavamo di viaggi ed avventure, sorprese, scherzi, delusioni, di cadute e ripartenze. Delle nostre vite. Ci raccontavamo e ci rendevamo conto che involontariamente eravamo immersi in una grande storia. Nella Storia. Nello spirito e negli eventi del nostro tempo. Era una bella scoperta perché non sempre era stato così.

Ci eravamo spesso visti come quelli delle Scienze sociali deboli. Insomma, quelli preparati ma che si sarebbero arrabattati per trovare un posto precario e momentaneo in questo mondo che delle nostre competenze se ne sbatteva. Positivi e goliardici, ma sempre in balia di un futuro nebbioso. Nelle ipercaloriche cene a Pavia, dopo vino, supercazzole e dibattiti accesi, si parlava di tanti sogni ma raramente di certezze. L’ospitalità di casa Bertone era una delle poche. Noi della generazione Y che non avrà mai una pensione e che si trovava ad entrare nel grigio mercato del lavoro mentre il sogno Europeo si sgretolava come il castello di carte subprime che avevano costruito gli Ammmericani.

Ma nel sogno c’era un filo conduttore. Le nostre storie erano colorate e nel loro caos avevano un senso ed un valore. Nel sogno ogni volta che qualcuno parlava lo scenario si modificava e cambiava veloce come i tempi che corrono. Racconto dopo racconto, realizzavamo che siamo attori di un’Epoca. Con Ciccio, eravamo nel mezzo del calderone nordafricano che ribolle di energie che intimoriscono le nostre genti. Le nostre genti che hanno diritto alla paura dell’ignoto ma non hanno diritto all’ignoranza. Con me e Gioby, assistevamo alla crescita ed al fiorire contraddittorio di nuove metropoli, Dubai e Lima, in Paesi che fino a pochi anni fa erano semplicemente bollati come Terzo mondo ed ora invece sono invece Paesi Emergenti. Con Michele, scoprivamo che nel cuore del continente africano esistono angoli di inatteso sviluppo dove 21 anni fa l’orrore genocidario imperversava in ogni angolo di Kigali. Con Bernardo ci addentravamo nei meandri dei meccanismi socio economici di quell’Africa Lusitanofona che per ultima si è affrancata dal giogo coloniale. Con Karim, rivivevamo l’intramontabile voglia di ritorno e certezze, protesi verso il mondo globalizzato ma con un desiderio grande di quel tepore (quasi tedioso ma irrinunciabile) che solo le nostre province ci possono dare. E mi sentivo molto vicino al nostro vecchio Karim. Giovanni Ferma, dalle Alpi alle Ande, eroe dei due mondi ci catapultava in un duplice scenario: una vita da vocalist ed una vita da operatore sociale che sta partecipando ad un luminoso progetto di accoglienzza che deve essere urlato alle nostre genti teorririzzate dall’invasione dei profughi.

Era un viaggio potente, inatteso, ritmato e mai banale seppur con intermezzi di routine e scene di semplice vita quotidiana .

Il sogno, tra scenari mozzafiato e multicolori, terminava con una scena semplice. Dopo tanto vagare tra le nostre avventure arrivava quel momento che desidero tanto si realizzi presto.

Vi facevo conoscere mia moglie Anastasia.

Facevamo un brindisi tutti insieme e partivamo per una zingarata tutti e 7.

Insomma, cari Amici miei, i nostri percorsi hanno un valore che deve essere narrato . Piccoli e grandi ed inconsapevolmente tutti legati dal filo degli eventi storici che ci circondano.

Noi siamo un piccolo spaccato dei notri tempi e voglio che ricominciamo a raccontarlo.

Un post alla volta.

Il Cortile deve ritornare a raccontare e raccontarsi.

In attesa di rivivere una serata come quella dell’Aprile 2013.

Ossequi, Ossecui, Ossecqui,


Il Conte



giovedì 27 agosto 2015

The Gate: una storia al di là di ogni imbarco



Ancora deve sorgere il sole e quella notte non hai dormito quasi nulla: troppi pensieri per la testa; hai fatto tardi per sistemare le ultime cose, ultimare la preparazione del bagaglio, salutare chi ancora non se n'è andato. L'aria fuori dalle porte dell'aeroporto è fresca e umida, la temperatura minima a quell'ora e il sonno ti danno uno strano senso di nausea; non hai voglia nemmeno di un caffè.
Gli ultimi saluti, gli abbracci di chi ha voluto accompagnarti fino al banco check-in, poi sei solo. All'improvviso le spalle si fanno leggere, alzi il naso sotto a quel tabellone appeso in mezzo alla sala cercando una località lontana il cui nome è riportato sulla tua carta d'imbarco che stringi nella mano destra: il volo è in orario. Ora puoi recarti al controllo sicurezza, non si torna più indietro. Ti senti minuscolo sotto a quel tabellone che vomita informazioni su orari e destinazioni che ti senti di conoscere da sempre: Milano, Abu Dhabi, Roma, Dubai, Quito, Lomé, Maputo, Lima, Madrid, Tunisi, Kinshasa, Lisbona, Stoccolma, Catania, Freetown...

Passato il check-in ritorni, almeno per ancora un po', alla realtà che hai lasciato fuori dalle porte di vetro che ti separano dal mondo che sta fuori; quel mondo che tra poco lascerai per un bel po'. Allora riprendi in mano il telefono, leggi gli ultimi aggiornamenti su Facebook, mandi un saluto per Whatsapp e perché no l'ultimo ''selfettone'' di rito, leggi qualche notizia online e cerchi di distrarti e magari una telefonata inaspettata che ti farà sorridere a lungo. Intorno a te una piccola e insignificante porzione di abitanti del globo si sta spostando per le ragioni più svariate. Ma poi che ne sai?! Come puoi giudicare quella massa di italiani medi che secondo te si sta recando al mare in ferie? Ma la carta d'imbarco che stringi tra le mani riporta il nome di una destinazione che di vacanza e mare dice ben poco: per te lavoro gli altri che se  ne vadano a Sharm o  nella meno esotica Lamezia T.
Ma almeno ti ricordi l'ultima volta che a salire a bordo di un aereo non eri solo?

A me gli aeroporti sono sempre piaciuti. Da sempre esercitano su di me un leggero fascino di cui forse non vale la pena indagare. Da bambino non mi sarebbe dispiaciuto diventare un giorno un assistente di volo... Per me gli aeroporti sono una sorta di ''non-luogo''. In aeroporto la tua nazionalità conta relativamente, sono una sorta di zona franca, una piccola e moderna Babele dove le più disparate genti si incrociano per attimi che durano quanto il tempo di uno scalo.
E io li fisso tutti. Scruto e osservo tutti coloro che mi passano davanti, cerco di indovinare nazionalità, provenienza e destinazione; cerco di immaginarmi cosa c'è oltre al loro viaggio, quel viaggio che in parte stiamo condividendo in quanto io ancora una volta viaggio solo. Ma è tutta una casualità.

Ormai manca una manciata  di minuti all'imbarco: è tempo di ritirare le cuffie, il libro che stai leggendo, estrai il passaporto e ti metti in fila con pazienza e disciplina. Eh sì...perché tu hai viaggiato, hai studiato all'estero: quelli chiassosi e indisciplinati sono sempre gli altri.
Dietro a ogni gate c'è una storia. Siamo frammenti di umanità che circolano alla ricerca del proprio posto nel mondo, quel posto che crediamo di meritare.
Ed era così esattamente un anno fa quando, lasciandomi tutto alle spalle, varcavo un gate per andare dall'altra parte del globo. E già sapevo in cuore mio che ad attendermi, oltre alle porte di quel gate, c'era una parte del mio Cortile.





domenica 22 febbraio 2015

- Perú: Progreso Para Todos -

- Perú: Progreso Para Todos -


Lima, megalopoli di 8 milioni di abitanti con l'agglomerato urbano ne comprende complessivamente 11. 
Undici milioni di persone che ogni giorno si svegliano presto per affrontare un traffico selvaggio e senza senso. La stragrande maggioranza della popolazione non possiede un'auto; ció nonostante le statistiche riportano che ogni anno il numero dell enuove auto immatricolate aumenta del 30%. Ma il numero di patenti emesse rimane pressoché invariato.
Un continuo boom economico e sociale che avanza sulla cittá come un lento tsunami. Da alcuni quartieri semi centrali verso le municipalitá piú periferiche si espande inesorabilmente l'inarrestabile tsunami del consumismo. Lunghe vie di fast food che propongono per lo piú pollo e patatine fritte, nuovi centri commerciali che sorgono a ridosso di case nemmeno ultimate, ovunque odore di fritto misto al pesante smog.
Ma la capitale del Perú é stata, almeno secondo i limeños, la cittá dei giardini fino a pochi decenni fa.
Se domandate a chiunque vi racconteranno che i decenni del terrorismo di Sendero Luminoso furono caratterizzati da un massiccio spostamento di famiglie dalla regione andina e amazzonica verso la capitale. Il controllo dello stato non é mai stato effettivo e nemmeno incisivo, cosí la capitale e ele altre cittá della costa rappresentavano poli attrattivi per chi scappava al terrorismo rosso.
Cosí in meno di 3 decenni la cittá ha visto moltiplicarsi i propri abitanti in maniera spaventosa: negli anni '60 la popolazione raddoppió arrivando a oltre 2 milioni e mezzo. Fino a metá degli anni '50 i limeños erano meno di un milione. L'inettitudine della classe dirigente ha fatto il resto.
Il limeño tipo quando parla con orgoglio della storia nazionale parla di Perú, con ''p'' de patria. Altrimenti fuori da Lima é ''provincia''.
A me la societá limeña ricorda molto l'Italietta mediocre e spendacciona degli anni di Craxi. 

Ma ció che colpisce piú  a Lima come nel resto delle cittá del Sud America sono gli abissali contrasti socio-economici. L'immagine urbana tipica é una donna andina che chiede l'elemosina a lato di un grattacielo sede di diverse multinazionali.
Per me il contrasto piú assordante é l'immagine della propaganda commerciale che promuove un presunto modello di benessere raggiungibile da sempre piú persone. Nei quartieri dalle antiche case basse a uno o due piani sorgonono come funghi palazzoni bianchi da 11- 15 piani. I prezzi degli immobili nuovi triplicano entro i primi 5 anni e le vendite degli appartamenti nuovi si esauriscono prima del completamento dello stesso edifcio.
Il ceto medio a Lima rappresentato dai colletti bianchi é in forte espansione. Un esercito di impiegati che non possiede ancora ma sa che ha il diritto di consumare. Per cui dopo lavoro ci si ferma nel fastfood lungo la strada che ti propone junk food a prezzi non proprio popolari. Il ceto medio inizia a far la spesa ai supermercati nuovi dove anche se non ci si puó riempire il carrello bisogna presenziareogni fine settimana. Fare la spesa in un supermercato peruviano costa praticamente come in un discount europeo. Parecchio se si considera lo stipendio medio. Poi, dato che fai la spesa al supermercato perché fa figo ma non hai l'auto per trasportare la spesa a casa, al tuo servizio il supermercato ti fornisce un baldo giobane mestizo che é ben contento di portarti il carrello fino a casa. Tu, risparmioso padre di famiglia sfili per l'avenida con tua moglie tirata a lucido e i due bimbi al seguito.

Il nuovo paradigma della societá limeña é consumo ergo sum. Tutto si compra per essere consumato in maniera massiva. Io personalmente non riesco a immaginare come puó vivere una popolazione a questi ritmi: 11 milioni di abitanti che ogni giorno esige un piatto a base di carne o di pollo, consuma cibo e bevande confezionate senza pensare nemmeno alla possibilitá di reciclare la confezione di plastica. Plastica ovunque e con vita breve: un sacchetto ti serve per la spesa poi lo butti; una bottigliati serve per dissetarti poi la getti insieme a qualsiasi sorta di rifiuto, magari per strada.
L'ignoranza e l'arroganza di non comprendere che il ricliclo dei rifiuti urbani potrebbe dare reddito piú di quanto si estrae da qualche miniera nella Sierra Andina. 
Mediocritá, arroganza, pigrizia, omologazione al consumo. Aspirazione ad aquistare un suv per circolare in una cittá in cui il traffico é tanto che a certe ore arriveresti a destinazione prima a piedi.
Ogni volta che ti sposti a piedi é un'ulcera perforante. Ti tagliano la strada sulle strisce, fanno slalom tra i pedoni. Se ci si mette in prossimitá di un incrocio non si vedrá nemmeno un'auto con il faro dello stop accesso: nessuno frena, tutti passano in un continuo flusso caotico.
Allora diventi nervoso ogni volta. Allora attraversi con i pugni chiusi pronti a batterli sul cofano dell'auto che ti taglia la strada. E si si fermano per reagire? Magari mi levo il prurito dalle mani.

Altro contrasto al limite della decenza é rappresentato dalla televisione nazionale e dai contenuti dei suoi programmi. Il programma tipo é un talk show dove un branco di bianchi palestrati e fancazzisti passa ore a dibattere sull'ultima relazione di un personaggio famoso. 
Talk show i cui partecipanti hanno un quoziente intellettivo che a Marco Bettello andrebbe l'oscar insieme a Luca Giurato. ( e andatevi a cercare su Youtube chi é M. Betello) ! La conduzione sempre in mano a una gallina da brodo che ha reso benestante qualche chirugo estetico della capitale. In confronto la Venier e Alda D'Eusanio sono ragazze acqua e sapone.
Meno del 40% della popolazione limeña é bianca, eppure in tv non vedi un indigeno. Il paradigma estetico é il tipico gringo, pelle chiara e tratti europei. Eppure la stragarande maggioranza della popolazione é palesemente di discendenza amerinda. 
Mi chiedo perché non sia mai scoppiato un conflitto di carattere etnico.
Ma dalla radio e dalla tv uno spot del governo rassicura con una bombardante propaganda che promette in continuazone: Perú, progreso para todos.