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lunedì 7 settembre 2015





Sono sicuro che la ricordate bene quell’ultima notte di due anni e mezzo fa alla Festa di Laurea in cui eravamo tutti insieme.

Ciccio non sapeva che qualche mese dopo sarebbe partito per il nord Africa, Karim aveva appena discusso la tesi dopo una pre-serata peripatetica (senza prostitute), Michele era ancora inebriato da Quito, Giovanni fresco di Sierra Leone usciva ancora con la Conte, Bernardo era ancora lider maximo della Pavia leggendaria che fu nostra, Ferma ancora non era diventato il nostro DJ camuno e leggeva poesie, io, in preda alle mie paturnie sentimentali, facevo le valigie per l’Arabia Felix (?).

Quella notte cercammo di scacciare la tristezza con qualche bicchiere di troppo sapendo che sarebbe stato difficile riunire tutto il gruppo di nuovo. Ed ancora non è successo. Un po’ impauriti che ci saremmo naturalmente persi. Sapevamo che il nostro cammino non sarebbe stato lineare. Tanti kilometri, aerei e città, cantieri, selve e giungle di cemento si sarebbero susseguite senza una logica apparente. Non sapevamo se saremmo stati ancora tutti qua, uniti, seppur sparsi in 4 continenti. Ma siamo ancora quel Cortile che eravamo. E senza saperlo siamo una storia degna di essere raccontanta.

Stanotte ho sognato un Natale tutti insieme (chissà quando succederà) e noi che dopo qualche anno dai saluti di quella notte epica di metà aprile ci raccontavamo di viaggi ed avventure, sorprese, scherzi, delusioni, di cadute e ripartenze. Delle nostre vite. Ci raccontavamo e ci rendevamo conto che involontariamente eravamo immersi in una grande storia. Nella Storia. Nello spirito e negli eventi del nostro tempo. Era una bella scoperta perché non sempre era stato così.

Ci eravamo spesso visti come quelli delle Scienze sociali deboli. Insomma, quelli preparati ma che si sarebbero arrabattati per trovare un posto precario e momentaneo in questo mondo che delle nostre competenze se ne sbatteva. Positivi e goliardici, ma sempre in balia di un futuro nebbioso. Nelle ipercaloriche cene a Pavia, dopo vino, supercazzole e dibattiti accesi, si parlava di tanti sogni ma raramente di certezze. L’ospitalità di casa Bertone era una delle poche. Noi della generazione Y che non avrà mai una pensione e che si trovava ad entrare nel grigio mercato del lavoro mentre il sogno Europeo si sgretolava come il castello di carte subprime che avevano costruito gli Ammmericani.

Ma nel sogno c’era un filo conduttore. Le nostre storie erano colorate e nel loro caos avevano un senso ed un valore. Nel sogno ogni volta che qualcuno parlava lo scenario si modificava e cambiava veloce come i tempi che corrono. Racconto dopo racconto, realizzavamo che siamo attori di un’Epoca. Con Ciccio, eravamo nel mezzo del calderone nordafricano che ribolle di energie che intimoriscono le nostre genti. Le nostre genti che hanno diritto alla paura dell’ignoto ma non hanno diritto all’ignoranza. Con me e Gioby, assistevamo alla crescita ed al fiorire contraddittorio di nuove metropoli, Dubai e Lima, in Paesi che fino a pochi anni fa erano semplicemente bollati come Terzo mondo ed ora invece sono invece Paesi Emergenti. Con Michele, scoprivamo che nel cuore del continente africano esistono angoli di inatteso sviluppo dove 21 anni fa l’orrore genocidario imperversava in ogni angolo di Kigali. Con Bernardo ci addentravamo nei meandri dei meccanismi socio economici di quell’Africa Lusitanofona che per ultima si è affrancata dal giogo coloniale. Con Karim, rivivevamo l’intramontabile voglia di ritorno e certezze, protesi verso il mondo globalizzato ma con un desiderio grande di quel tepore (quasi tedioso ma irrinunciabile) che solo le nostre province ci possono dare. E mi sentivo molto vicino al nostro vecchio Karim. Giovanni Ferma, dalle Alpi alle Ande, eroe dei due mondi ci catapultava in un duplice scenario: una vita da vocalist ed una vita da operatore sociale che sta partecipando ad un luminoso progetto di accoglienzza che deve essere urlato alle nostre genti teorririzzate dall’invasione dei profughi.

Era un viaggio potente, inatteso, ritmato e mai banale seppur con intermezzi di routine e scene di semplice vita quotidiana .

Il sogno, tra scenari mozzafiato e multicolori, terminava con una scena semplice. Dopo tanto vagare tra le nostre avventure arrivava quel momento che desidero tanto si realizzi presto.

Vi facevo conoscere mia moglie Anastasia.

Facevamo un brindisi tutti insieme e partivamo per una zingarata tutti e 7.

Insomma, cari Amici miei, i nostri percorsi hanno un valore che deve essere narrato . Piccoli e grandi ed inconsapevolmente tutti legati dal filo degli eventi storici che ci circondano.

Noi siamo un piccolo spaccato dei notri tempi e voglio che ricominciamo a raccontarlo.

Un post alla volta.

Il Cortile deve ritornare a raccontare e raccontarsi.

In attesa di rivivere una serata come quella dell’Aprile 2013.

Ossequi, Ossecui, Ossecqui,


Il Conte



giovedì 27 agosto 2015

The Gate: una storia al di là di ogni imbarco



Ancora deve sorgere il sole e quella notte non hai dormito quasi nulla: troppi pensieri per la testa; hai fatto tardi per sistemare le ultime cose, ultimare la preparazione del bagaglio, salutare chi ancora non se n'è andato. L'aria fuori dalle porte dell'aeroporto è fresca e umida, la temperatura minima a quell'ora e il sonno ti danno uno strano senso di nausea; non hai voglia nemmeno di un caffè.
Gli ultimi saluti, gli abbracci di chi ha voluto accompagnarti fino al banco check-in, poi sei solo. All'improvviso le spalle si fanno leggere, alzi il naso sotto a quel tabellone appeso in mezzo alla sala cercando una località lontana il cui nome è riportato sulla tua carta d'imbarco che stringi nella mano destra: il volo è in orario. Ora puoi recarti al controllo sicurezza, non si torna più indietro. Ti senti minuscolo sotto a quel tabellone che vomita informazioni su orari e destinazioni che ti senti di conoscere da sempre: Milano, Abu Dhabi, Roma, Dubai, Quito, Lomé, Maputo, Lima, Madrid, Tunisi, Kinshasa, Lisbona, Stoccolma, Catania, Freetown...

Passato il check-in ritorni, almeno per ancora un po', alla realtà che hai lasciato fuori dalle porte di vetro che ti separano dal mondo che sta fuori; quel mondo che tra poco lascerai per un bel po'. Allora riprendi in mano il telefono, leggi gli ultimi aggiornamenti su Facebook, mandi un saluto per Whatsapp e perché no l'ultimo ''selfettone'' di rito, leggi qualche notizia online e cerchi di distrarti e magari una telefonata inaspettata che ti farà sorridere a lungo. Intorno a te una piccola e insignificante porzione di abitanti del globo si sta spostando per le ragioni più svariate. Ma poi che ne sai?! Come puoi giudicare quella massa di italiani medi che secondo te si sta recando al mare in ferie? Ma la carta d'imbarco che stringi tra le mani riporta il nome di una destinazione che di vacanza e mare dice ben poco: per te lavoro gli altri che se  ne vadano a Sharm o  nella meno esotica Lamezia T.
Ma almeno ti ricordi l'ultima volta che a salire a bordo di un aereo non eri solo?

A me gli aeroporti sono sempre piaciuti. Da sempre esercitano su di me un leggero fascino di cui forse non vale la pena indagare. Da bambino non mi sarebbe dispiaciuto diventare un giorno un assistente di volo... Per me gli aeroporti sono una sorta di ''non-luogo''. In aeroporto la tua nazionalità conta relativamente, sono una sorta di zona franca, una piccola e moderna Babele dove le più disparate genti si incrociano per attimi che durano quanto il tempo di uno scalo.
E io li fisso tutti. Scruto e osservo tutti coloro che mi passano davanti, cerco di indovinare nazionalità, provenienza e destinazione; cerco di immaginarmi cosa c'è oltre al loro viaggio, quel viaggio che in parte stiamo condividendo in quanto io ancora una volta viaggio solo. Ma è tutta una casualità.

Ormai manca una manciata  di minuti all'imbarco: è tempo di ritirare le cuffie, il libro che stai leggendo, estrai il passaporto e ti metti in fila con pazienza e disciplina. Eh sì...perché tu hai viaggiato, hai studiato all'estero: quelli chiassosi e indisciplinati sono sempre gli altri.
Dietro a ogni gate c'è una storia. Siamo frammenti di umanità che circolano alla ricerca del proprio posto nel mondo, quel posto che crediamo di meritare.
Ed era così esattamente un anno fa quando, lasciandomi tutto alle spalle, varcavo un gate per andare dall'altra parte del globo. E già sapevo in cuore mio che ad attendermi, oltre alle porte di quel gate, c'era una parte del mio Cortile.





domenica 7 settembre 2014

In punta di piedi

Per combinare qualcosa nella vita, bisogna svegliarsi presto la mattina; ma non è che se uno la mattina si sveglia sempre presto deve combinare per forza qualcosa.
E' capitato in questa magica estate pavese che alle 8:30 del mattino uscissi di casa per la seconda volta nella giornata, diretto all'autobus che (fortunatamente non proprio) tutte le mattine mi ha portato a Milano Famagosta, e senza che questo rappresenti ineluttabilmente un'ipoteca su un futuro affermato e brillante.
Ho passato tutta l'estate a lavorare, tra Pavia e Milano, salvo fugaci (e purtroppo insufficienti) raid per cercare di sopperire alle difficoltà causate dall'impervia geografia dei miei affetti, in alcuni casi irraggiungibili. Il viaggio è diventata un po' una costante da qualche tempo, sopratutto da quando si è reso necessario per colmare un grosso vuoto la cui dimensione corrisponde più o meno alla distanza tra questa penisola e quella iberica, e forse qualcosa in più.

Nel frattempo, a Gaza i palestinesi resistevano ingabbiati come topi all'offensiva israeliana; in Ucraina il conflitto tra filorussi e fascisti mascherati da europeisti faceva tremare le sabbiose fondamenta dell'Europa politica; l'autoproclamatosi Califfato tra Iraq e Siria miete vittime, spaventa e ci ricorda gli errori fatali commessi dall'occidentalismo sfrenato; l'ebola miete vittime tra le superstizioni e i timori di chi guarda l'Africa solo quando rappresenta un pericolo per il proprio giardino immacolato. E mentre gli aerei cadono come ciliege d'estate, mi preparo a far scattare le molle tenute schiacciate per troppi anni sotto il peso del fieri di una vita che spesso sembrava di non poter controllare, ma sempre al servizio di una causa, una sola.
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Pavia ad agosto non mi ha mai entusiasmato, per usare un eufemismo; eppure in questi ormai cinque anni in cui la ridente provincia lombarda è stata il mio domicilio (più o meno) fisso, non c'è stato anno che non mi abbia visto convivere almeno per un po' con le sempre infallibili zanzare padane e con i pochi pavesi superstiti.
Qualche settimana fa i cortigiani di questo blog, non tutti purtroppo, si sono ritrovati sotto il tetto di casa Bertone restituendole l'atmosfera di una volta. In fondo le pareti non fanno una casa in quanto tali, di per sé questi sono luoghi senza spirito, a discapito degli inutili tentativi di far sì che si verifichi il contrario. Di contro, non è difficile ricreare le situazioni familiari, come se fossero state lì pronte a saltare fuori da un divano rosso o dal pensiero di una zingarata, da una discussione sul Medio Oriente o sulla giustizia universale, tutto chiaramente contornato da riproduzioni filmografiche cult e litanie pseudocomiche.
Tutto mi ricorda che da questa città, in realtà, sono andato via un anno fa.
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Insomma, tutto 'sto casino di maldestri tentativi di apparire laconico e nostalgico, sensibile e passionale per dire che smollerò gli ormeggi.
Vado a Lisbona, per approssimativamente due anni, per un Master in Sviluppo e Cooperazione Internazionale. Domani.
Parte di 5 anni rinchiusi in 6 colli affidati
forse avventatamente a Transitalia SpA
E' piuttosto difficile elaborare il modo in cui sto vivendo questa scelta; infatti penso che non lo scriverò e vi risparmierò questa supercazzola. Oscillare dall'entusiasmo puro al peso delle incognite è una spinta non indifferente (ecco, alla fine l'ho fatto) a far sì che tutto vada nel verso giusto, come se fosse possibile controllare questo genere di cose.

Qualche post fa, dicevo che la Guinea Bissau – tra le innumerevoli cose – ha messo una bella pietra sopra a quello che sicuramente nella mia vita non voglio fare. Il che rappresenta senz'altro una scrematura rispetto alle inclinazioni maturate in questi intensissimi anni; e proprio perchè sono passati in un baleno, sono anche stati determinanti nel rendermi quello che sono e nel guidarmi lungo le asperità che mai hanno fatto senitre la propria mancanza. Quello che è arrivato a Pavia non è lo stesso che se ne va, dai chili in più alla voglia di riversare energie e rabbia in sfoghi (quasi) sempre proficui, almeno nelle intenzioni.

Gli anni del Coordinamento sono stati indescrivibili. I compagni, le compagne, le lotte, i compromessi, la fatica, i manifesti, le gambe come molle, la direzione sempre uguale, i compromessi, quelli piuddesinistradete, le pulsioni dei movimenti e la costanza della rappresentanza sono stati di gran lunga l'esperienza più significativa della mia vita; è inevitabile che tutto questo crei la nostalgia più grande nel lasciare questo posto.
Ma è stato proprio questo a orientare le mie scelte fino a questo momento, compresa questa, insieme a tutti poli gravitazionali sparsi sul globo terracqueo; alcuni di essi esercitano una forza incredibile, e assecondarli diventa irrinunciabile, qualsiasi cosa questo comporti.

Mi sto riposizionando nel complesso reticolato delle idee e degli affetti, assecondando le ragioni del cuore, che sono mille e nessuna, a volte travestite di una razionalità che non gli appartiene.
Dopo aver salutato - un po' a random -  i luoghi e le persone che mi hanno accolto in questi anni, da lunedì, dall'altra parte dell'oceano ci sarà di nuovo un altro continente lontano.

Me ne sto andando da qui così come sono arrivato, in punta di piedi; ma seguendo la stessa direzione che mi ha guidato lungo questi bellissimi anni, che hanno caricato delle molle pronte a scattare, proprio come quelle del "dado che cammina". Senza cambiare mai rotta, senza mai rompere la fedeltà verso sé stessi e verso il motivo che crediamo ci abbia messo al mondo, a partire dal momento in cui abbiamo deciso di farne parte. 

Non un passo indietro.
Mai una resistenza rispetto a quello che crediamo sia giusto.

[...] le ragioni del cuore sono le più importanti, bisogna sempre seguire le ragioni del cuore, questo i dieci comandamenti non lo dicono, ma glielo dico io, comunque bisogna stare con gli occhi aperti, nonostante tutto, cuore, sì, sono d'accordo, ma anche occhi bene aperti [...].
--Antonio Tabucchi
dal libro "Sostiene Pereira. Una testimonianza" di Antonio Tabucchi





sabato 19 aprile 2014

Home sweet home




Oggi in Casa Bertone si ironizzava sul parenne casino che regna sovrano, e sul fatto che ogni inquilino lascia-dimentica sempre qualcosa di suo. L'arredamento risulta così l'insieme delle diverse generazioni di frequentatori, ufficiali ed abusivi, che si sono susseguiti nel tempo.
Ad un certo punto un sorriso furbetto illumina il viso di Kycca, di quei sorrisi che nascondono pensieri del tipo "ora sta per succedere una cosa super carina!!!", e mi invita ad andare a cercare sul suo soppalco un fantomatico pacco di robe mie stipate li da tempo immemore.
Con un po' di scetticismo, e dopo qualche acrobazia, riesco a recuperare il famoso e pesantissimo pacco e a portarlo in soggiorno (quello che praticamente è stato "camera mia" da dicembre ad oggi).

Aprire quel maledetto pacco è stato come aprire un vaso di pandora, come fare un viaggio a ritroso nel tempo, ed essere catapultato esattamente 9 mesi fa.
In 9 mesi tante cose possono succedere, puoi fare un figlio per esempio, oppure possono cambiare radicalmente la tua vita e quella di tanti altri. 9 mesi possono essere tanti o pochi, ma se tu e i tuoi più cari amici siete a cavallo tra università e lavoro, beh, 9 mesi possono fare la differenza!

In quel pacco c'erano vestiti che credevo perduti, passioni mai coltivate, oggetti mai usati, di quelli che compri sicuro che prima o poi li tirerai fuori al momento giusto, e che immancabilmente rimangono a fare la muffa dimenticati in qualche angolo della tua mente.. e poi libri, appunti, fotocopie, documenti..

Ad avvolgere tutto questo un profumo d'estate, una sensazione di quotidianeità, il sapore del caffè in bocca (rigorosamente miofino), e sono tornato per un attimo in quei cortili, in un tempo in cui le nostre strade non si erano ancora divise in modo così evidente. L'idea di ritrovarci tutti in terra Latinoamericana era solo una lontana utopia, e gli unici echi lontani venivano da Dubai..

Tante cose sono cambiate da allora, oggi sono l'unico rimasto in Italia, e guardandomi intorno ho avuto l'ennesima conferma che Casa non è un luogo fisico, gli oggetti e gli indirizzi non contano nulla.
Casa mia è fatta dalle persone, dai ricordi e dalle esperienze condivise, è un trampolino di lancio ed un porto sicuro allo stesso tempo. Nonostante sia un non-luogo è costruita su solide fondamenta, non esiste calamità naturale che possa distruggerla. Rispecchia la precarietà e la mobilità alle quali per certi versi siamo obbligati da questo sporco mondo, che ci vuole sparsi per i continenti, ma senza riuscire ad allontanarci.

Per questo nonostante tutto sono sereno, Casa mia può essere ovunque.

lunedì 14 aprile 2014

Migrante che vai.... paese che trovi



Giovedì 10 Aprile '14


Mi trovo su un treno che viaggia da Novara a Mestre. Oggi compio 28 anni e mi prendo queste 3h abbondanti di viaggio per scrivere qualcosa per il nostro Blog.
Non voglio farvi una sintesi delle 7 settimane che ho trascorso in Svezia, siamo gi? stati in contatto ogni giorno via Whatsapp. Non vale la pena nemmeno fare un bilancio del tempo trascorso nella Sveland. Piuttosto vorrei condividere con voi qualche spunto che ci riguarda.

Come sapete ho trovato alloggio a Falun grazie a un amico molisano che conobbi gi? nel 2011, lo chiameremo C. Questi mi ha trovato il contatto per subaffittare a un prezzo pi? che amico, direi quasi regalato, presso la casa di un insegnante romano di 32 anni, che chiameremo G. C. e G. sono amici di un ingegnere siciliano di 43 anni, detto M.z che vive e lavora in Svezia da almeno 8 anni. La prima sera ci organizziamo per una pizzata a casa di C. e della sua compagna tedesca, severissima ma quasi mai in uniforme. Mi presentano M. un ex militante di Lotta Continua che ha deciso di calmarsi un po' dopo che la prima moglie svedese lo ha denunciato per maltrattamenti su un minore (mi ha spiegato che sottrasse l'I.pad alla figlia di 8 anni mentre questa faceva resistenza pi? del dovuto; Svezia, inferno - paradiso). M. ora si ? risposato con un'altra svedese che in queste settimane metter? al mondo un bambino. Lavora come maestro in una scuola materna, e durante il week-end lavora come barista in una birreria. Dice che, da gran lavoratore piemontese che ?, alla scuola materna non si stanca a sufficienza; l'anno scorso ha superato i 50, si trova in Svezia da almeno 15 anni e ancora stenta a parlare l'idioma nordico: dice che gli fa schifo.
Ma durante la cena non siamo solo italiani, ci sono anche 3 compagne svedesi e la tedesca. Tuttavia il tono di voce imperante di noi connazionali, e la necessit? di esprimerci liberamente fa s? che siamo ancora noi italiani a farla da padroni quando si tratta di fare ''serata social''.
Dopo quella pizzata ho condiviso con questi migranti italiani molti altri momenti. Un po' perché non era pi? tempo per fare festa con gli erasmus, un po' perché quando stai all'estero poche cose sono ricuoranti come una serata a sparar cazzate con qualche connazionale (anche se alla fine si parla sempre di calcio e di foka). Ma cosa c'? di meglio di una buona cena tra amici e quando il livello alcolico sale tutti in sala a spararsi un bel mix del meglio di Andrea Di Pr??
La maggior parte delle mie serate svedesi le ho trascorse con italiani, e queste si sono sempre rilevate le pi? divertenti. O per  lo meno quelle in cui si ? mangiato meglio. Anche se questa scelta mi ha precluso l'opportunit? di buttar il naso un po' fuori dal solito giro. Ma gli amici italiani che ho conosciuto in Svezia sono tutti diversi fra loro; e per et? e per estrazione sociale. Perci? mi domando cosa ci unisce? Noi italiani non siamo un popolo particolarmente patriota, forse  tendiamo semplicemente a "far comunella" come si di a Roma...
Siamo un popolo contraddittorio noi italiani: lasciamo il nostro paese perché immaginiamo un futuro migliore ma non siamo disposti a metterci in gioco fino in fondo. Viviamo, studiamo, lavoriamo all'estero per anni ma siamo sempre pronti a sfottere le abitudini dei popoli che ci ospitano; spingendoci a dire che la loro lingua suona ridicola. Quando si esce a cena con amici 2 su 3 si va per un ristorante etnico; all'estero faremmo carte false per una margherita come si deve o un espresso decente...
Un po' come amava affermare qual capoccia da un balcone della Capitale: Italiani popolo di eroi, santi, poeti e trasmigratori.

martedì 8 aprile 2014

I Sud sono una invenzione dei Nord

A una settimana dal rientro in Italia, finalmente riesco a prendere il coraggio a due mani per scrivere qualcosa su questo rientro al quale faccio un po' di fatica ad attribuire un qualsiasi odore o sapore. 
Grazie al cazzo - mi direte - è un rientro, mica una zuppa.

Lasciamo un Paese in piena campagna elettorale. “Lo sai che in Guinea Bissau abbiamo due carnevali? Durante il primo sfilano i carri e le maschere, durante il secondo candidati con auto starnazzanti. E ta ngana djintis – ingannano la gente”.
Le elezioni presidenziali e governative si dovevano svolgere a novembre, ma l'iscrizione ai registri elettorali unita al congresso di quello che fino al 94 era il partito unico hanno fatto slittare la data prima a marzo, poi ad aprile; con il sommo rammarico di perdersi questo momento vissuto da tutti come un evento eccezionale, ciascuno schierato col suo e a difenderlo in tutti i kandonga e nelle bancadas. Si presentano in 14 candidati, ma esistono solo 10 partiti. Kumba Yala, presidente nel 2000 dopo aver sconfitto il regime di Nino Viera nella guerra civile e creatore del primo grande partito dall'avvento del multipartitismo e alternativo al PAICG, il Partido de Renovação Social, questa volta sostiene un candidato diverso da quello sostenuto dal suo partito, Nuno Gomes Nabiam. Kumba scompare in circostanze poco chiare, qualche settimana fa; qualcuno dice che se lo sono portato in Nigeria, qualcun altro che è in Guinea Bissau e che verrà processato per un reato non noto. Muore di infarto qualche giorno fa. Nuno Gomes Nabiam indossa lo stesso cappellino tradizionale dell'etnia Balanta che ha sempre contraddistinto il guerrafondaio che si erge a eroe della patria, ora stroncato da un malore - stando alle fonti ufficiali.

Questa volta ci troviamo davanti alle prime elezioni in cui i candidati non hanno raggiunto la fama in quanto fautori dell'indipendenza unilaterale, dichiarata nel 1973. Questa volta c'è candidata l'élite intellettuale. Ma nei villaggi si vota per l'appartenenza etnica, o per un sacco di riso. L'elettorato dell'interno del Paese è un elettorato facile da spostare, molto attaccato ai personaggi storici che hanno segnato la rivoluzione, che continuano a vegliare su un popolo sconquassato dagli strascichi di una guerra che li ha liberati dai tuga, i portoghesi, e che adesso qualcuno ha il coraggio di rimpiangere. Un popolo pacifico che riesce inspiegabilmente ad avere ancora fiducia nei responsabili di guerre civili e colpi di Stato. 
Non scompaiono ancora le figure che hanno condizionato il nascere e gli esiti di una guerra civile inutile e dannosa, che ha lasciato delle ferite ancora aperte e che ha fermato quella che sembrava essere l'emancipazione di un Paese, almeno ai più ottimisti. Bissau ka na diskansa inda – Bissau non si è ancora ripresa.

Non scompaiono i candidati che piacciono all'esercito, la divisione è tra governativi e antigovernativi. Carlos Domingos Gomes detto Kadogo, presidente esiliato dopo essere stato deposto dal colpo di Stato guidato tra gli altri dal colonnello Antonio Indjai (già coinvolto nella guerra civile contro Viera nel '99 e supportato dai separatisti della Casamança senegalese), divide l'opinione pubblica con il suo ipotetico ritorno. Qualcuno tra gli elettori del suo partito – il PAICG – dice che ha fatto il suo tempo (senza neanche essere riuscito a governare pur avendo vinto al secondo turno), che il suo ritorno comporterebbe solo il nascere di nuovi problemi che distoglierebbero l'attenzione dei vigli governanti che amministreranno la cosa pubblica, che non ci sono garanzie per la sua sicurezza, e via giù con le scomode conseguenze di riportare in patria un folle che si è sognato di vincere le elezioni presidenziali. Il suo principale concorrente dell'epoca, Manuel Serifo Nhamadjo e attuale presidente della Repubblica, nel 2012 dopo il ballottaggio sfrutta i malcontenti di una piccola elite militare per salire al potere illegittimamente, avvalendosi dell'inazione che aleggia intorno ad un weak state come la Guinea Bissau. La comunità internazionale rimprovera, l'ECOMIB non riconosce il Governo golpista sin quando lo stesso non piega la testa davanti alla proposta, avanzata dalla comunità di Stati dell'Africa Occiedentale, di formare un Governo di transizione, con le opposizioni dentro in attesa di nuove elezioni. Il risultato è un governo di corrotti pressoché senza opposizione che ritarda il processo elettorale e rifà le strade un mese prima dell'ultimo appuntamento elettorale. 
Grandi intese e trucchetti da sindaci di provincia non sono un unicum della politica italiana.
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All'aereoporto di Bissau ci tocca riaprire le valigie – il controllo è empirico in assenza di scanner – ma il solo fatto che siamo (stati) volontari ha dissuaso i solerti uomini dell'ordine dall'approfondire eccessivamente il contenuto dei nostri bagagli, pieni dei panni regalatici da Raul, dei vestiti sporchi consumati dalla stagione secca, dai pilòn, i pente, le cianfrusaglie e i regali da portare a casa.
Qualche sigaretta di nascosto con i vigliantes nello “stanzino vip”; stavolta il tabacco ha un sapore diverso rispetto a quello fumato in autunno a Malpensa in attesa dell'aereo di andata. Sarà che stavolta una stecca di Marlboro costava sei euro anziché cinquanta.

L'aereoporto di Casablanca aiuta forse a spezzare, non si capisce bene da che parte siamo del Mediterraneo a momenti, tanti turisti dopo tanto tempo, tanti bianchi, il francese, i giardini curati, i pavimenti che riflettono la luce, il fresco, la gente in giacca cravatta e soprabito. Una specie di camera iperbarica.

Il saluto. L'impressione netta di dire arrivederci per poi rivedersi davvero, e continuare da dove ci si è fermati - il che non impedisce alle lacrime di varcare la soglia che le rende visibili. Insieme a qualcuno, senza qualcun' altro, in un altro posto o negli stessi luoghi, ma questa volta poco importa.
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Il viaggio per la Penisola è tutto un sonno.
L'arrivo è un dormiveglia dopo un sonno lungo e pesante, come anche i giorni successivi.
Casa Bertone è la stessa, i divani rossi, i soppalchi, i coinquilini presenti e passati che in qualche modo hanno sempre un posticino tra la polvere e le superfici originarie, e lo stesso vale per gli avventori più affezionati. Per disfare le valigie ci vogliono giorni e molte lavatrici, mentre basta molto meno per riabituarsi ai ritmi e alle abitudini di una casa di studenti. Anche Radio è la stessa, alla sera, durante l'assemblea dei soci. Lo è la gente del Coordinamento, le facce di sempre ma sempre fresche, la plenaria, la cena con un “vecchio” amico.

Le domande erano attese e temute da mesi, ma aiutano a metabolizzare. Qualcuno chiede “Cioè ma davvero te lo volevo proprio chiedere, ci ho pensato per sei mesi, caspita, ma davvero mi vuoi dire che mangiavate riso tutti i giorni?”, qualcun' altro è interessato a sapere com'è sta storia del presidente della ONG in prigione, ma sto stronzo, ma tu pensa un po' che roba.
Io me ne torno a casa con un altro anno da recuperare nella folle corsa all'adempimento degli studi nei sogni di una vita, o nella speranza di fortuna, e con un pezzetto in più a comporre un puzzle senza istruzioni né riferimenti. Con una finestra davanti, al di là della quale si aprono strade nuove e percorsi possibili.
Non ho trovato la ricetta del mondo nuovo e giusto, ma almeno parto dagli ingredienti che ne impediscono la riuscita. Non ho visto le cose funzionare bene, non ho elaborato il sistema definitivo, se penso al “mal d'Africa” di mali me ne vengono in mente tanti tra quelli che affliggono il continente più bistrattato del pianeta.

I panni colorati mi ricordano gli abiti ampi, le tavole rozze, le strade polverose, gli odori forti del mercato di Caracol, i raffazzonati mezzi di locomozione, le folle, i palazzi coloniali, le discussioni accese, la stanchezza ad ogni piè sospinto, i tratti duri, quelli più dolci dei bambini.
Sono immagini che spero non svaniscono, come il briciolo di consapevolezza in più che pesa come un macino nello zaino. Penso di aver capito molto di quello che voglio fare, ma sopratutto di quello che non voglio fare, che farò in modo che non succeda intorno a me, di dove voglio collocarmi nella mappa sconfinata che si articola nel sistema complessissimo in cui viviamo.


Gli amici lontani mandano segnali ad andamenti alterni, la conversazione digitale porta come oggetto “depression international”. Qualcuno di loro è logorato, o almeno pensa di esserlo, qualcun altro è rinvigorito. Io sono ripulito, lavato. Ancora non ho visto il mio Sud.

E nel cortile che ha ispirato i racconti di questi mesi, che ha tenuto insieme i pezzi, ancora non sono riuscito a metterci piede.  

venerdì 14 febbraio 2014

Un cortile senza tempo

Guardo in basso mentre comincio a scendere le scale. Nero. Da quando sono piccolo per me la parola pece è prima di tutto le scale della casa del nonno. Un tempo tante case avevano i pavimenti così, ma oggi è difficile trovarne così vintage e ben invecchiati.

Esco a fare due passi e prendo aria. La piazza trasuda fascismo. I nonni, gli altri però, mi hanno raccontato di quando venne a parlare il duce, e si affacciò dal terrazzo e la piazza era piena piena e tutti quanti si urlava festanti… “Chissà perche lo facevamo”.

Cammino. Passo il ponte e mi fermo a mangiare un panino salsiccia e caciocavallo. Cammino. C’è un vento bastardo e non c’è in giro un cane. Avevo prenotato il biglietto per scendere qua prima di partire per la nuova esperienza, così potevo salutare il nonno, che poi non ci si vedeva più per un anno. Lui m’ha fatto lo scherzetto e ha deciso di spegnersi qualche giorno prima della data in cui dovevo vederlo ed ora mi trovo qua, a vagare per la città in cui tante volte m’ha accompagnato bar bar a mangiare gelati d’ogni sorta. E penso, anche se non ci riesco molto.

La piazza della cattedrale. Quanto l’hanno fatta brutta. Cammino. Riguardo in basso. Pietra di una certa età. Il ponte vecchio, questo sì che è bello.
Sono buffe le coincidenze. In questa città s’è laureato uno dei pazzi di questo blog, ma io ancora non lo conoscevo. L’ho conosciuto solo tempo dopo, in un arido incontro nella città che accumuna tutti noi, per poi costruirci qualcosa di importante oltre manica. A volte bisogna spostarsi in un mare più grande per capire che si può nuotare insieme. A proposito di mare, lui sta una manciata di km più a sud, oltre quella massa d’acqua che da questa città non si vede, ma che è poco distante. Altro continente, altro giro. Altro erasmus, altra coppia del blog che s’è conosciuta. Che casino!

Cammino. Cazzo che nostalgia, se foste qua cari coglioni sarebbe un gran bello alzare un calice parlando tutti insieme senza riuscire a finire neanche un puto discurso. Ieri v’ho pensati. Il cimitero è una delle zone più suggestive e caratteristiche di questa città. Camminando nel viale centrale sembra di stare in una città senza tempo, come una sorta di Minas Tirith. Durante le operazioni camminavo un po’ distante dai miei e mi guardavo attorno. Avevo paura che da un qualche angolo comparisse qualcuno di voi pronto a fare la supercazzola: “caro paolo, siamo fratelli nel dolore”. Ho tirato un sospiro di sollievo a vedere che le mattonelle del cimitero avevano lasciato spazio all’asfalto dell’esterno e che nessuno di voi si fosse palesato.

Ho fatto due volte il medesimo giro, conscio che tanto nessuno m’avrebbe visto. Mani dietro la schiena e passo da vecchio. Tra un mese tutto sarà diverso. Volevo pensare ma non so cosa ne sia uscito, però di colori sotto alle suole ne son passati. Per fortuna c’è sempre un cortile cui tornare e dove stare in infradito. Poco importa se sia solo virtuale. Vorrà dire che avremo i piedi alati!


Avrei voluto scrivere tutto questo al momento in cui ero nella bell’isola ma la tecnologia non m’ha assistito. Lo finisco adesso, in aula esagoni. Dietro la porta a vetri si distingue la sagoma di un uomo. Non entra subito, esita. Mi viene da ridere. Sicuro a quest’ora è Sbatti che prima di entrare legge e rilegge il suo nome per la sessione di laurea che ci sarà tra due settimane. Si apre la porta e….no, nessuna ragazza bellissima cazzo. Era proprio Sbatti. Allora è proprio vero. Ci sarà da festeggiare. In cortile ci sarà musica sino all’alba.

giovedì 26 dicembre 2013

Nel dubbio antani!

Considerando che Mellone è uno di poche parole, leggere due righe in cui diceva che dovevo essere io a scrivere dei giorni che abbiamo passato insieme l'ho visto quasi come un pippone, tanto che in silenzio ho risposto come solo Garibaldi a Teano ha saputo fare: Obbedisco

La vita di ogni giorno è fatta da da una routine di suoni a cui siamo talmente abituati da non farci quasi piu caso riducendoli al limite del percepibile, come il rumore della macchina mentre guidiamo o il ticchettio dei tasti del computer mentre scriviamo.
La cosa particolare di questa storia dei rumori è che è tarata su una particolare frequenza...cioè, noi non sentiamo solo il ticchettio del nostro computer o il rumore della nostra macchina. Provate a scrivere con il pc di un'altra persona, quel piccolo rumore all'inizio verrà percepito come estraneo, senza contare come le mani inizieranno a muoversi in quella tastiera diversa dalla vostra.
Col tempo ci si abitua anche a quei rumori che una volta erano estranei, anzi, quello che una volta era estraneo diventa il tuo quotidiano, diventa la routine. Poi un giorno mentre stai camminando risenti un vecchio suono. uno di quelli da routine...non è più quotidiano, ma nemmeno estraneo.
Per un secondo quel suono vi farà pensare a dove eravate quando lo sentivate, alle altre persone che erano assuefatte come voi. Un suono può essere la porta per un viaggio piacevole.

ci sono voluti 3 voli intercontinentali, uno spostamento inter regionale e uno intra regionale (per non considerare l'enorme sforzo che ho fatto io per alzarmi dal divano rosso e andare a rispondere al citofono di chi arrivava paragonabile a un viaggio su giove) ma ce l'abbiamo fatta.

Sarebbe stato bello essere tutti insieme ancora sotto il tetto di Casa Bertone, tutti e sette con Kycca che fa da Maestro di Cerimonia a bere,mangiare e bere.
Purtroppo eravamo solo in sei. Dopo le mazzate dell'anno scorso qualcuno ha scelto VOLONTARIAMENTE di disertare il nostro randez-vous.


Ho subito capito che cosa mi aspettava quando nel giro di 2ore avevamo fatto impazzire una cameriera e eravamo in pista di decollo a suon di bottiglie di mirto, amari del capo, creme di limoncello al magma e, lo confesso, una leggerissima incontinenza da risate.

Si sa quando si è insieme agli amici ci si dimentica del tempo e GiòFerma ha trovato questo modo originale di scandire il tempo e ricordarci della sua esistenza: Le scorregge (Petus Camunis)
Ma come vi ho detto ci si abitua ai suoni...anche a quelli di Ferma, e dall'arrivo di sabato alla partenza di lunedi non li sentivo praticamente piu...

Brindisi di benvenuto, di riconciliazione, di beviamoci su, di perchè stiamo brindando sono stati gli eterni protagonisti della fase prepartenza...e l'ultimo è stato fatto da me e Ferma alle 10 del mattino con dell'ottimo Jegermeister, anche se visto che stavamo per partire per un'impresa sarebbe stato meglio del montenegro.

ufficiale, si parte!!! io e ferma prendiamo la prima macchina raccattiamo mellone e ci incontriamo con karim ilardi e sbatti: un piano semplice, lineare, regolare...abbiamo perso circa 30 minuti a rincorrerci per pavia prima di ritrovarci nello stesso posto...si parla di 11 lauree in 6 persone...vabè

per motivi logistici si va purtroppo con 2 macchine una delle quali guidata da ferma che regala subito la prima emozione ai due copiloti uscendo fuori strada e rischiando il cappottamento del veicolo perchè doveva cancellare le foto dalla macchina fotografica.

la prima tappa è chiara a tutti, si va a Zelate di Bereguardo a rendere i nostri omaggi a uno dei più grandi caratteristi del cinema italiano: Guido "dogui" Nicheli, o come tutti lo conosciamo, il cumenda!

http://www.youtube.com/watch?v=5T8huEXcYAQ

troviamo subito il cimitero e come benvenuto troviamo la merda di animale più gossa che io abbia mai visto e decidiamo di ornarla con dei fiorellini da campo! il cimitero è grande piu o meno come casa bertone e riusciamo a non trovare la tomba del nostro beniamino...11 lauree...
per fortuna troviamo qualcuno da supercazzolare a dovere ma che ci spiega dov'è la tomba e li entriamo in meditazione mistica davanti all'epitaffio "see you later"...un'altra categoria. foto di rito e partenza per l'oltre po pavese dopo una intensa conversazione con una badante dell'est che cercava lavoro in cui le proponevamo lauti compensi in cambio di palpate e cotolette per un anziano nobile pavese.

Dove siamo finiti non lo so, ma sappiate che era un posto dove avevano fatto un museo delle bambole.
perchè la gente dovrebbe farci un museo con le bambole e non potrebbe giocarci?? semplice: non esistono bambini. l'età media è 69 anni. Sbatti si esibisce in una supercazzola carpiata citofonale a un funzionario del comune per farci aprire il museo che non ha assolutamente gradito e ci ha impedito di entrare nel tempio del ludico.

la fame inizia a farsi sentire raccattiamo al volo un bel due di picche da 2 sventole che hanno la tessera fidaty dell'inps e che quando sono nate pagavano ancora col baratto e partiamo in cerca di cibo. non ci sono i bambini...figurati se c'è da mangiare. l'unico che troviamo è un tizio su un camion in collina che prova a venderci un prosciutto.

nonostante l'orario troviamo ospitalità presso una trattoria che ci fa mangiare e bere vino. (nell'attesa del primo una vita da pezzente regala emozioni con pane olio sale e chili di parmiggiano della serie mangio finche è gratis.)
tutto il personale della trattoria è stato gentilissimo con noi...ma vuoi per l'orario, vuoi per le supercazzole a ripetizione quando siamo usciti hanno chiuso immediatamente e pur di levarsi dal cazzo quei sei rompicoglioni hanno pure regalato la gazzetta a Ferma.

dopo una lunga conversazione con un vecchio leghista del posto che chiama ancora i propri figli bambini, nonostante questi siano già nonni, aver dato del terrone a mellone piu e piu volte e averci raccontato della sua magistrale carriera accademica (in cui è stato costretto a ripetere ben 3 volte la prima elementare, e reiterando piu volte questo concetto sbandierando 4 dita davanti ai nostri occhi) partiamo ancora per mete sconosciute.

non so dirvi come siamo arrivati alla penultima tappa della zingarata, ma quando abbiamo visto la chiesa abbiamo avuto tutti la stessa idea...la supercazzola dell'abbattimento!!
Crick dell'auto usati per le misurazioni, giubbottini catarifrangenti, canne di bamboo di 2 metri e mezzo, e un povero vecchio li a guardare inerme l'abbattimento della chiesa e della sua casa.

scappiamo per cercare un posto dove goderci il tramonto e ci ritroviamo in una specie di santuario completamente abbandonato bellissimo da dove si gode una vista bellissima sulle colline dell'oltre po e riusciamo a trovare un momento per prenderci bellamente per il culo tra di noi (visto che fino a quel momento c'eravamo troppo impegnati a prendere per il culo gli altri).

alla fine del tramonto torniamo a casa, anche se karim vuole bere qualcosa sulle rive del po e si ferma con la macchina sotto il ponte della becca, il ponte meno sicuro al mondo (dati istat)

dovrei scrivere qualcosa di chiusura...ma come si fa? cosa dovrei scrivere? non è una questione di retorica ma la mia zingarata è iniziata anni fa e ancora non è finita. come si fa a chiudere qualcosa che non è chiusa?

lascio chiudere al Perozzi. uso le sue parole perchè io, di meglio, non so fare!!

http://www.youtube.com/watch?v=KUz6qSK4qfk





mercoledì 4 dicembre 2013

Schizzinosi d'oro

Oggi sono stato al colloquio per fare il servizio civile internazionale.
Nove persone, tutti laureati o laureandi, tutti cercando di concorrere per quella manciata di posti e chissà quanti altri come noi.
Siamo stati insieme tutto il giorno, abbiamo chiacchierato e scherzato tanto e mi son trovato a mio agio, ma tra un dialogo e l’altro ci siamo detti quello che si fa nella vita. I pochi che hanno un lavoro è un lavoro che non c’entra nulla con le proprie peculiarità, aspirazioni o percorso di studio. La paga di una viene utilizzata quasi interamente per spostarsi da casa a lavoro. Un altro che ha accettato un posto a tre euro l’ora e via dicendo per gli altri.
Io mi son trovato nella condizione di essere il privilegiato per il lavoro ben retribuito che ho.
Mi fa incazzare tutto questo perché sono migliaia i coetanei che sanno che questo quadretto non è retorica ma è la prassi e la vivono tutti i giorni sulla propria pelle. E mi fa incazzare ancora di più pensare a tutti quelli che hanno dato ragione, in passato come oggi, a delle leggi, a delle spinte politiche e culturali che ci additavano come gli schizzinosi, come quelli che dovevano essere flessibili, come quelli che ostacolavano il futuro. Come quelli che la causa di questo era l’università pubblica. Erano gli sprechi. Erano le auto blu. Erano i bamboccioni.
In questi anni tutto è andato maledettamente veloce ma ciò che è successo aveva uno scopo ben preciso e cioè il tagliarci le gambe ed il futuro.  Nel frattempo ci facevano abbaiare contro dei casi nazionali, come quelli degli schizzinosi, bamboccioni, sprechi bla bla bla senza mai parlare dei problemi del sistema, solo problemi spot. E non sono stati i grandi nemici lontani i colpevoli. No! Tutto è stato avallato da quello che la maggior parte degli italiani vedono allo specchio, noi col nostro esser diventati intransigenti con tutto e quindi avallando tutto. Pensiamoci la prossima volta che soffiamo sulle vele di una polemica sterile o quando ci annoiamo ad ascoltare delle critiche un pò più complesse a una legge scellerata.
Oggi al colloquio la commissione non ci credeva che con gli altri candidati ci fosse stato un clima disteso e non concorrenziale. Forse non sempre siamo come ci immaginano, per fortuna.
E andiamo ancora di Bertoli. Mi sorprende come sappia dire sempre tutto.
Romba il potere che detta le regole
cade la voce della libertà
mentre sui conti dei lupi economici
non resta il sangue di chi pagherà
Italia d’oro frutto del lavoro cinta dall’alloro
trovati una scusa tu se lo puoi
Italia nera sotto la bandiera vecchia vivandiera te ne sbatti di noi
mangiati quel che vuoi fin quando lo potrai
tanto non paghi mai

domenica 6 ottobre 2013

Un pensiero da casa mia




A casa mia ci sono due frigoriferi!
Se uno dice di avere due frigoriferi in casa la gente si fa dei trip mentali allucinanti sulla quantità di cibo, sulla varietà, e cosa farebbe se avesse due frigoriferi.
A casa mia i due frigoriferi sono pieni di biglietti, calamite, un’etichetta della birra san miguel, un poster di De Andrè, il menù della mezza luna e una ricevuta di ritorno di una raccomandata.
A casa mia un frigo viene usato come credenza mentre l’altro per contenere aria gelata nella triste speranza che qualcuno degli inquilini compri qualcosa da mangiare…anche i frigoriferi fanno i sogni bagnati, che poi si trasformano in condensa e qualche stronzo li deve pure sbrinare.
A casa mia uno dei due frigoriferi (quello funzionante ndr) ha una calamita tonda bianca che regge una foto in cui i sette individui che gestiscono questo forum sfoggiano ebbri e barbuti sorrisi.
Quella foto è stata scattata quasi un anno fa, Dicembre 2012.
A casa mia quella sera ci trovammo tutti e sette. Alcuni erano ancora a Pavia, altri vennero apposta.
Abbiamo mangiato e bevuto in abbondanza prendendoci bellamente per i culo, picchiandoci scherzosamente come dei macachi allo zoo.
Per me quella sera fu incredibile e difficilmente la dimenticherò visto che per la prima volta eravamo tutti e sette nello stesso posto, una cena aveva fatto convergere sette zingari in un solo posto, a casa mia.
C’è stata solo un’altra occasione in cui noi sette siamo stati tutti insieme e anche quella è stata memorabile…aprile 2013…purtroppo non ci sono foto che possano testimoniare il secondo incontro, altrimenti sarebbe appesa nel secondo frigorifero.
A casa mia hanno dormito tante persone, specialmente quelli della foto.
Quattro su sette hanno abitato qui, per gli altri tre si è sempre trovato un posto…figuriamoci!
Complice la vicinanza con la stazione, ogni volta che uno arrivava a Pavia bussava prepotentemente al citofono spacciandosi per improbabili agenti della digos, della polizia postale, finanza, equitalia…se un giorno la digos suonerà davvero avrò seri problemi a crederci.
Complice la vicinanza con la stazione, ogni volta che uno andava via da pavia passava qui le ultime ore prima della partenza.
A casa mia la porta si è aperta tante volte a ogni ora del giorno e della notte per far uscire gente carica di bagagli pronta per partire verso ogni angolo del mondo.
Ho visto Ferma partire per i Guatemala col pugno alzato. Mellone, sinonimo di eleganza e raffinatezza, ci ha congedato toccandosi scaramanticamente prima di partire per la Sierra Leone.
Da casa mia Ilardi è partito per andare a Roma e salire sul volo che lo avrebbe portato a Dubai.
Non ho visto partire Michele…ma la storia della sua uscita da casa mia l’ho sentita talmente tante volte che riesco a immaginarla perfettamente.
Karim ha sempre scelto di usare l’uscio di casa mia come trampolino di lancio per nuove avventure novaresi, Bernardo invece l’ha fatta grossa scegliendo la Guinea Bissau come destinazione.
A casa mia di quella foto sono rimasto solo io a fissare i due frigoriferi, ma non ci resterò ancora per molto… e nemmeno quella foto.
La metterò nello zaino per la Tunisia insieme a una calamita alla ricerca di nuovi frigoriferi.

lunedì 30 settembre 2013

La flessibilità dei neolaureati..? 'nculet

È chiaro ragazzi che quando si scende nel cortile può andarci bene, beccare la vicina erasmus spagnola e riuscire anche a strapparle un ciao. Oppure potrebbe esserci la anziana coi baffi del piano terra che chiede a karim di aiutarla a prendere le pere dal giardino. Però nel cortile ci può anche essere quel noioso signore che ammazza tutte le giornate felici col suo strascico di discorsi seri o seriosi. Quello che tutto il vicinato cerca di schivare, arrivando persino ad affrettarsi nello scendere le scale per evitare un incontro. Lui, quello strano signore, allo stesso modo non sopporta i vostri modi di scherzare su alcune cose che non lo fanno ridere, di ammazzare le serate su youtube con video noiosi (beninteso, uno di quei video si salva “presidente, che messaggio vorrebbe dare ai bambini. Presidente?! Presidente”?!??) che fanno ridere sguaiatamente il salentino… per lui è sempre stato molto meglio alzare bicchieri colmi di vino in vostra compagnia, per finire a sentirsi dire che è molesto e le solite vostre frase di rito.

Però questo è un cortile anomalo, e quando i ragazzi del vicinato si mettono in gruppo a chiedere a quel signore di raccontare qualcosa, forse per vedere fino a che punto potrà arrivare la sua noiosità, lui cede. Magari ne potrebbe nascere una di quelle belle discussioni che si concludono con l’emiro che dice che è proprio bello discutere di politica tra noi o con Karim che, demo cristianamente, dice che alla fine la pensiamo tutti allo stesso modo.

Quindi taglio corto. Vi lascio questo primo post che ho pubblicato anche sul mio blog che per motivi di salvaguardia del mio posto di lavoro tengo ancora in semi clandestinità. In fondo, dalla Vallecamonica a Quito, da Gela alla vendemmia ad Alessandria, dagli Emirati ad un’auletta per studiare francese passando per la Guinea non Conakry, siamo tutti nello stesso centro del fiume.



Sono state due settimane intense in valle dal punto di vista del lavoro. Alle tante aziende in crisi si è aggiunta una situazione abominevole alla Riva. Ancora una volta è evidente come sia difficile creare un fronte comune e compatto nel denunciare e combattere le responsabilità, anche laddove queste dovrebbero essere chiare a tutti.

Ho chiesto nel giro di queste settimane ai miei colleghi se non pensassero che fosse il caso di esprimere solidarietà, di far qualcosa. Tutti quanti, senza distinzione, erano concordi nel dire che sarebbe stato giusto farlo. “Un tempo avremmo fermato tutta la produzione in segno di vicinanza. Ma non può partire da noi. Deve essere il consiglio di fabbrica”!

Eccolo li, l’eterno assente di questi primi 7 mesi. L’RSU. A inizio mese abbiamo scritto una lettera, come operai del reparto, indirizzata al direttore per mettere in chiaro che alla velocità che voleva lui noi non andavamo. Si è detto che non era giusto farla pervenire senza passare dall’rsu. Fu così che abbiamo consultato l’unico presente in quella settimana e lui non ha risposto niente. Niente! Fu così che la protesta si è sgonfiata subito dato che senza rsu non ci si è voluti muovere.

Questa settimana è tornato l’unico rsu dei tre che è CGIL e gli ho chiesto se non aveva pensato a nulla in segno di vicinanza alla lotta degli operi riva. Lui ha detto “ma come si fa? Non riuscirei a convincere nessuno qua dentro”. “ma io ho sentito varie persone e tutti erano entusiasti della cosa, anche solo uno striscione”. Silenzio. “Beh, ma comunque si dovrebbe chiedere il permesso alla dirigenza per appenderlo, è complicato”.

Gli ho chiesto se sapesse niente dei rinnovi che riguardano me e altri due ragazzi cui scadeva il contratto lunedì. Mancavano due giorni cazzo! Niente.

Ieri mi ha chiamato il capo dicendomi che mi prorogavano il contratto fino al 20 dicembre arrivando così a dieci mesi totali di lavoro tramite agenzia iterinale, quello che inizialmente usavano come periodo di prova. Un bel periodo di prova di dieci mesi quando ormai so lavorare più o meno su tre reparti.

Mi è montato un gran nervoso. Anzi ho la fortuna che me l’hanno rinnovato. Ma non per questo devo astenermi dal denunciare il malessere e l’instabilità che provoca una situazione di precarietà simile. Per loro io e l’altro nella mia stessa situazione siamo essenziali a livello produttivo, però ci trattano come se fosse dubbia la nostra utilità.

Mi viene in mente la parolina magica che si sente da molti anni quando si studia economia, anche da eminenti professoroni “rossi”. Flexsecurity. Li inviterei a provare a fare progetti in una situazione di precarietà, e sono sicuro che capirebbero che la flessibilità non può mai corrispondere a un benvivere, poiché è solo precarietà. Precarietà, è una parola brutta se solo ci si pensa o la si usa come aggettivo. Da un senso di disagio dentro.


Io sono amareggiato perché avevo deciso di candidarmi per il rinnovo delle rappresentanze, nella speranza che altri due giovani con le palle mi fornissero le giuste spalle per mostrare ai vecchi come sul posto di lavoro si possa ancora far sentire la propria voce. Per mostrare che lo spazio che loro si prendono è solo perché noi abbiamo lasciato il campo di battaglia. La rappresentanza sul luogo di lavoro non è altro che lo spazio per organizzarsi e  per far sentire che la fabbrica la mandano avanti degli uomini che sono altro rispetto al capitale umano. Sono vite.

Una materia prima può essere flessibile. Un uomo no. Però un uomo può essere molle

domenica 22 settembre 2013

Tracce





Un piano, ci vuole sempre un piano, sennò dove vuoi andare? Non si può mica improvvisare, che a farlo sono capaci tutti, e infatti poi si vedono i risultati.. 
Una donna, bhe non può di certo mancare, che te lo dico a fare? Avere una donna intorno cambia tutto, da colore all’ambiente, un brio, il famoso tocco femminile. E poi diciamocelo, le donne aiutano sempre a guardare le cose da un punto di vista differente, non so, sarà per colpa di quello che le succede durante quella settimana in cui diventano intrattabili (che a volte a dir la verità dura ben più di 7 giorni, ma questo è un’altro discorso). 
Prospettive, ci vogliono delle prospettive rosee, una base da cui costruire qualcosa che possa darti soddisfazione, farti sentire un uomo appagato, soddisfatto e in pace con sè stesso, che in fin dei conti è forse la cosa più importante. Chiamalo successo, ricchezza, appagamento, soddisfazione, cambia poco..la sostanza è la stessa, lottare per ottenere qualcosa dalla vita, raggiungere quell’obiettivo, e sentirti fottutamente bene. A volte questa fase viene già prima di tagliare il traguardo, quando magari senti che stai facendo qualcosa di bello, di entusiasmante, che abbia un senso per te, e nella migliore delle ipotesi anche per gli altri. 
Gli altri, sì, ecco la parola che ancora mancava. Ma chi sono questi altri? Degli sconosciuti, che entrano nella tua vita, a volte come uragani, altre volte  in punta di piedi che neanche le ballerine del Bolshoy (spero si scriva così!). Gli altri, altre persone, “gente” che riempie le nostre vite, uomini e donne con cui parliamo ogni giorno, con cui ci confrontiamo, e grazie ai quali ogni santissimo giorno abbiamo la certezza di esistere.
Personalità differenti che aiutiamo a plasmare e che a loro volta ci lasciano sempre un po’ cambiati. Sì perchè ogni dialogo, ogni tocco, ogni rapporto umano, di qualsiasi tipo, lascia una scia, una traccia dentro di noi, che ci guida verso la scoperta di noi stessi. 
Sarebbe bello, poter entrare nella testa delle persone che abbiamo conosciuto, per vederci attraverso i loro occhi, secondo i loro canoni interpretativi della nostra realtà. Sarebbe come entrare in una sorta di casa degli specchi psicologica, che restituirebbe l’immagine che tanto ci affanniamo a proiettare verso l’estero, deformata secondo la lente d’ingrandimento di chi abbiamo davanti. Insomma un ottimo esercizio di autocritica e di coraggio, tanto azzardato e raro da rasentare l’eroismo!
Ovviamente ci sono tracce leggere, che sembrano lasciate come da piume intinte in un’inchiostro sbiadito, che tremolanti disegnano delle righe incerte, che quasi neanche si capisce dove vadano a parare. 
Ci sono poi segni più vigorosi, protratti nel tempo e profondi, che indicano chiaramente una direzione da seguire, anche se spesso sono incoerenti tra loro, ed è un casino trarne un’indicazione univoca! 
Ci sono poi le ringhiere, aiuti che per quanto ti possa sforzare di ricordare ci sono sempre stati, ti hanno sempre offerto un appoggio, incondizionatamente, senza obbligarti in nessuna direzione, ma assecondando semplicemente la tua voglia di scoprire e di conoscere. Sono quegli appoggi che quasi sempre sono stati un passo avanti a te, cercando di metterti in guardia, ma senza raccontarti la fine della storia, che sennò che gusto dell’avventura c’è? Quella ringhiera ora la guardi quasi con nostalgia, ma è la stessa che fino a pochi anni fa trattavi con disprezzo! Lei c’è sempre stata, e sotto sotto sai che ci sarà sempre, nonostante catastrofi naturali o umane. É li, a ricordarti da dove sei venuto, chi sei (o chi eri), e cosa potresti essere, perchè un po’ di fiducia incondizionata fa sempre bene. 
Ogni tanto qua e la troverai sparsi dei tratti leggeri, colorati e dalle traiettorie più incredibili. Alcuni di questi sfumano effimeri  e svaniscono nel nulla, altri vanno paralleli fino a quando non si incontrano (ed è un vero casino). Quindi si intrecciano, si ingarbugliano e poi svaniscono entrambi, oppure più raramente ne sopravvive solo uno. Alcuni di questi  ti accompagnano per molto tempo, alcuni sono profondi, rossi d’amore e verdi di speranza, altri solo rossi, e in questi casi l’amore c’entra poco. Succede che s’interrompano bruscamente, prendendo la forma di coltelli, lacerandoti la carne viva, e lasciandoti ferite più o meno profonde. Alcune si curano in fretta, mentre altre ancora aperte, sanguinano di rimorsi, di speranze infrante, e di sogni interrotti bruscamente. Di quei sogni che tutto sembra magico e perfetto, che non manca nulla, che sei felice, che neanche ti ricordi com’era prima di addormentarti! E poi, quando sei sul più bello, suona la sveglia e tutto svanisce. Puoi anche cercare di riaddormentarti ma è già andato, puff, volatilizzato, e non c’è nessun sonnifero che possa aiutarti.
 Ci sono, infine, altri tipi di tracce, le più strane, difficili da descrivere e soprattutto da trovare. Non tutti le portano dentro di sè, e questa è un’ingiustizia, perchè sono come le stelle nel cielo di notte che ti fanno compagnia, o come il primo sole tanto atteso di primavera che ti riscalda il cuore. Sono tracce diverse dalle altre perchè hanno una strana peculiarità: indipendentemente da dove inizino, si ha la forte impressione che ci siano sempre state. Possono essere come tessere di puzzle diversi che magicamente, dentro di te, combaciano perfettamente una con l’altra. Ce ne sono di antiche, che magari hanno approfittato della stessa ringhiera, (e in alcuni casi pure degli stessi fili rossi), o di più recenti, cambia poco, a guardarle sembrano tutte perfettamente a loro agio, comode comode, proprio come se fossero a casa loro. Hanno anche un’altra peculiarità, sono poche, fottutamente poche, e quando se ne interrompe una è sempre un dramma, altro che ferite sanguinanti, quelle sono uno scherzo a confronto. Queste lasciano il vuoto, perchè come ti hanno riempito la vita quando scorrazzavano allegramente dentro di te, se  svaniscono niente le può sostituire, perchè ognuna è diversa dall’altra, unica e insostituibile, ed è proprio questo che le rende speciali. Sono scie che ti accompagnano, che formano la tua persona senza che tu te ne accorga, creando una comunità di pensieri, di azioni e di emozioni che vanno oltre le barriere del tempo e dello spazio. Installano tasti sempre pronti a scattare, meccanismi che non temono nè ruggine nè oblio, ingranaggi che non necessitano di olio per girare alla perfezione, perchè sono parte di te, è come se ci fossero sempre stati, e ci saranno sempre.

domenica 15 settembre 2013

Love story




Tutti abbiamo avuto la fortuna, o la sfortuna, di vivere una storia d’amore.
Indipendentemente dal fatto che sia ancora in corsa o finita, tormentata o smielosamente romantica, una storia d’amore ti trasmette delle sensazioni uniche.
Ti riscalda nelle notti fredde, ti abbraccia e ti bacia ogni volta che ne hai voglia o bisogno!!
Ho sempre provato un forte sentimento per sta ragazza, più grande di me, alta, amante della storia dell’arte e un ottimo gusto in fatto di cibo, molto incasinata ma tremendamente interessante.
Le ho dato il primo bacio e ci ho fatto l’amore per la prima volta.
Durante gli anni che abbiamo passato insieme ci siamo mollati più volte e ho avuto storie con altre donne…ma nessuna di queste è riuscita a tenermi tra le sue braccia.
Sono sempre tornato dalla mia ragazza preferita.
Era anche alla mia laurea, e ci siamo guardati intensamente…

Io avevo la speranza negli occhi, volevo sposarla! Lei mi guardava austera e quasi senza emozioni.
Da quel giorno qualcosa è cambiato. Le ho scritto tutti i giorni, le ho detto tutto di me. Le mandavo foto, progetti, speranze, le ho chiesto di tenermi con se e lei non mi ha mai risposto.

Ci sono ragazze più belle, affascinanti e accattivanti, lo so, ma io ho segretamente sognato di stare solo con lei! In questi mesi non mi sono mai arreso nonostante sapessi che stava passando un periodo di crisi profonda.
Lei invece si è arresa, non mi vuole e, ironia della sorte, mi ha buttato tra le braccia di un’altra.
La pelle scura e gli abiti colorati, calda nelle parti basse e con un forte accento francese.

Non ho fatto in tempo a rendermene conto che sono già in una relazione con questa nuova ragazza. A metà novembre andremo a vivere insieme. Non so cosa mi aspetta e la cosa un po’ mi spaventa…ma questa ragazza nuova mi offre una sicurezza e una stabilità che ho a lungo richiesto al mio grande amore, che invece di rispondere alle mie necessità cambiava sempre argomento.

Ti lascio le cose a cui tengo di più e gli amici che abbiamo in comune. Abbine cura in mia assenza.
Non è assolutamente una lettera d’addio…ma solo un arrivederci.
Spero che un giorno torneremo ancora insieme, spero di potermi perdere ancora tra le tue bellezze, di conoscere i tuoi segreti e gioire dei tuoi successi. Spero che un giorno tornerai forte come sai di essere, anche senza di me.

Ti amo Italia mia

per sempre tuo

Ciccio! 

mercoledì 4 settembre 2013

UN Youth Goof



Fuori è l'imbrunire, l'ennesima giornata passata davanti al computer spulciando fra gli annunci e mandando candidature come se si, ci fosse un domani. Una mail arriva. Sembra interessante.

Si  è  da  poco  aperta  la raccolta delle candidature per il programma “UN Youth Volunteers”,  rivolto  a  giovani  laureati italiani nati dopo il 1° gennaio 1987.
[...] Gli incarichi si svolgeranno nei seguenti paesi: Bolivia, Ecuador, El Salvador,  Gambia,  Guatemala,  Malawi,  Mozambico,  Nicaragua,  Tunisia  e Vietnam.

Cazzo, interessante lo è davvero. L'idea di andare in Malawi a spiegare come si usa un preservativo o a cosa serve il voto è eccitante. Così seguo il primo link, compilo la solita robaccia, dati anagrafici un paio di caselle da sbarrare, ormai sono un automa, potrei farlo a occhi chiusi. Completo il primo passaggio, il sito dell'UNV  è assai professionale, mi mandano una mail di conferma per proseguire. L'email apre una pagina pressoché identica: vogliono una seconda conferma, così mi mandano una seconda email.

Thank you for your application to the United Nations Volunteers (UNV) programme. Based on the current demand for volunteer services, it is unlikely that we will be able to offer you a UNV assignment in the near future.

Gameover.
Morale della favola, anche le candidature appena aperte possono essere appena chiuse. Meglio non alimentare false speranze.

Sei caffè




Ieri ho preso sei caffè. Per qualcuni sembreranno molti, per altri sono la prassi, ma io ieri ne ho bevuti esattamente sei.

Il primo l'ho bevuto a casa, con i coinquilini, con gli amici e con mia sorella da poco diciottenne che sta per diventare una matricola universitaria. Lo beviamo facendo una rassegna stampa, spulciando le notizie politiche nazionali, quelle estere, i conflitti...sembra quasi una redazione: tutti li col computer a leggere e commentare tra un cornetto e un sorso di caffè, sperando di trovare in quella tazzina le energie necessarie per affrontare la giornata.

Gli altri cinque li ho bevuti fuori, al bar, come un signorotto borghese, e non ne ho pagato uno, tutti offerti.
Pare sia buona educazione offrire il caffè a un ragazzo al limite dei trent'anni che entra al bar a chiedere un lavoretto che poco c'entra coi suoi studi ma che gli permetterebbe di pagare l'affitto, le bollette e i caffè al bar da signorotto borghese.

Volevo continuare a girare i locali pavesi alla ricerca di un lavoro...ma un altro caffè non l'avrei retto proprio.

martedì 3 settembre 2013

Oh buaiola




Probabilmente codesto non è il modo più professionale di inaugurare questo blog, ma dato che per il momento le idee latitano, dato anche che è una sera di settembre e come da titolo siamo tutti sparsi per l'ellissoide, invece che a parlare delle solite stronzate in Via Brichetti, dato infine che il Necchi ha appena finito di rivedere per la duemiliardesima volta Amici Miei, vorrà dire che si inizierà così.
Ora riascolterò la buaiola per l'ultima volta e proverò a mandare un'altra candidatura a qualcosa che non so, prima di andarmene a letto. Qui ognuno avrà da raccontare le sue storie, ma la realtà è che le storie di molti di noi hanno ancora, a cinque mesi dalla fine dell'università, a che fare con la ricerca di un impiego, la spremitura delle meningi alla ricerca di un'idea per sbarcare il lunario.
Ecco, se proprio posso chiudere con uno sfogo, un pensiero va ai quattro stronzi che, non accontentandosi di un curriculum fatto come dio comanda, oggi come ieri e l'altro ieri e il giorno prima, mi hanno fatto perdere mezza giornata a reinventare una maniera per spiattellare nero su bianco la vecchia minestrina riscaldata delle mie organizational, social e techical skills. Oh un lo volete capire che noi s'è fatto scienze politiche e sappiamo fa' na sega!