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domenica 22 febbraio 2015

- Perú: Progreso Para Todos -

- Perú: Progreso Para Todos -


Lima, megalopoli di 8 milioni di abitanti con l'agglomerato urbano ne comprende complessivamente 11. 
Undici milioni di persone che ogni giorno si svegliano presto per affrontare un traffico selvaggio e senza senso. La stragrande maggioranza della popolazione non possiede un'auto; ció nonostante le statistiche riportano che ogni anno il numero dell enuove auto immatricolate aumenta del 30%. Ma il numero di patenti emesse rimane pressoché invariato.
Un continuo boom economico e sociale che avanza sulla cittá come un lento tsunami. Da alcuni quartieri semi centrali verso le municipalitá piú periferiche si espande inesorabilmente l'inarrestabile tsunami del consumismo. Lunghe vie di fast food che propongono per lo piú pollo e patatine fritte, nuovi centri commerciali che sorgono a ridosso di case nemmeno ultimate, ovunque odore di fritto misto al pesante smog.
Ma la capitale del Perú é stata, almeno secondo i limeños, la cittá dei giardini fino a pochi decenni fa.
Se domandate a chiunque vi racconteranno che i decenni del terrorismo di Sendero Luminoso furono caratterizzati da un massiccio spostamento di famiglie dalla regione andina e amazzonica verso la capitale. Il controllo dello stato non é mai stato effettivo e nemmeno incisivo, cosí la capitale e ele altre cittá della costa rappresentavano poli attrattivi per chi scappava al terrorismo rosso.
Cosí in meno di 3 decenni la cittá ha visto moltiplicarsi i propri abitanti in maniera spaventosa: negli anni '60 la popolazione raddoppió arrivando a oltre 2 milioni e mezzo. Fino a metá degli anni '50 i limeños erano meno di un milione. L'inettitudine della classe dirigente ha fatto il resto.
Il limeño tipo quando parla con orgoglio della storia nazionale parla di Perú, con ''p'' de patria. Altrimenti fuori da Lima é ''provincia''.
A me la societá limeña ricorda molto l'Italietta mediocre e spendacciona degli anni di Craxi. 

Ma ció che colpisce piú  a Lima come nel resto delle cittá del Sud America sono gli abissali contrasti socio-economici. L'immagine urbana tipica é una donna andina che chiede l'elemosina a lato di un grattacielo sede di diverse multinazionali.
Per me il contrasto piú assordante é l'immagine della propaganda commerciale che promuove un presunto modello di benessere raggiungibile da sempre piú persone. Nei quartieri dalle antiche case basse a uno o due piani sorgonono come funghi palazzoni bianchi da 11- 15 piani. I prezzi degli immobili nuovi triplicano entro i primi 5 anni e le vendite degli appartamenti nuovi si esauriscono prima del completamento dello stesso edifcio.
Il ceto medio a Lima rappresentato dai colletti bianchi é in forte espansione. Un esercito di impiegati che non possiede ancora ma sa che ha il diritto di consumare. Per cui dopo lavoro ci si ferma nel fastfood lungo la strada che ti propone junk food a prezzi non proprio popolari. Il ceto medio inizia a far la spesa ai supermercati nuovi dove anche se non ci si puó riempire il carrello bisogna presenziareogni fine settimana. Fare la spesa in un supermercato peruviano costa praticamente come in un discount europeo. Parecchio se si considera lo stipendio medio. Poi, dato che fai la spesa al supermercato perché fa figo ma non hai l'auto per trasportare la spesa a casa, al tuo servizio il supermercato ti fornisce un baldo giobane mestizo che é ben contento di portarti il carrello fino a casa. Tu, risparmioso padre di famiglia sfili per l'avenida con tua moglie tirata a lucido e i due bimbi al seguito.

Il nuovo paradigma della societá limeña é consumo ergo sum. Tutto si compra per essere consumato in maniera massiva. Io personalmente non riesco a immaginare come puó vivere una popolazione a questi ritmi: 11 milioni di abitanti che ogni giorno esige un piatto a base di carne o di pollo, consuma cibo e bevande confezionate senza pensare nemmeno alla possibilitá di reciclare la confezione di plastica. Plastica ovunque e con vita breve: un sacchetto ti serve per la spesa poi lo butti; una bottigliati serve per dissetarti poi la getti insieme a qualsiasi sorta di rifiuto, magari per strada.
L'ignoranza e l'arroganza di non comprendere che il ricliclo dei rifiuti urbani potrebbe dare reddito piú di quanto si estrae da qualche miniera nella Sierra Andina. 
Mediocritá, arroganza, pigrizia, omologazione al consumo. Aspirazione ad aquistare un suv per circolare in una cittá in cui il traffico é tanto che a certe ore arriveresti a destinazione prima a piedi.
Ogni volta che ti sposti a piedi é un'ulcera perforante. Ti tagliano la strada sulle strisce, fanno slalom tra i pedoni. Se ci si mette in prossimitá di un incrocio non si vedrá nemmeno un'auto con il faro dello stop accesso: nessuno frena, tutti passano in un continuo flusso caotico.
Allora diventi nervoso ogni volta. Allora attraversi con i pugni chiusi pronti a batterli sul cofano dell'auto che ti taglia la strada. E si si fermano per reagire? Magari mi levo il prurito dalle mani.

Altro contrasto al limite della decenza é rappresentato dalla televisione nazionale e dai contenuti dei suoi programmi. Il programma tipo é un talk show dove un branco di bianchi palestrati e fancazzisti passa ore a dibattere sull'ultima relazione di un personaggio famoso. 
Talk show i cui partecipanti hanno un quoziente intellettivo che a Marco Bettello andrebbe l'oscar insieme a Luca Giurato. ( e andatevi a cercare su Youtube chi é M. Betello) ! La conduzione sempre in mano a una gallina da brodo che ha reso benestante qualche chirugo estetico della capitale. In confronto la Venier e Alda D'Eusanio sono ragazze acqua e sapone.
Meno del 40% della popolazione limeña é bianca, eppure in tv non vedi un indigeno. Il paradigma estetico é il tipico gringo, pelle chiara e tratti europei. Eppure la stragarande maggioranza della popolazione é palesemente di discendenza amerinda. 
Mi chiedo perché non sia mai scoppiato un conflitto di carattere etnico.
Ma dalla radio e dalla tv uno spot del governo rassicura con una bombardante propaganda che promette in continuazone: Perú, progreso para todos.




















giovedì 17 aprile 2014

Il realismo fantastico viene a bussare

Venerdì 18 aprile 2014. Sono in cima al mirador, sul cerro di sant’Apollonia. Guardo le montagne attorno. Sono alte ma non sono minacciose, sembrano colli. Il cielo è pieno di nuvole e il sole filtra con parsimonia. È la prima volta che vengo così in alto e mi concentro sulle alture. In lontananza vedo il contorno di una montagna dal colore diverso. Immagino sia la luce che lo fa apparire differente. Poi guardo meglio, rifletto sulla direzione e deduco che possa solamente essere la zona della miniera.

Tra le voci dei miei amici filtra una frase: “Giò, è morto Marquez”. Caspita, mi coglie impreparato. Avevo seguito poco la sua degenza ma non me lo aspettavo. Che poi forse è sempre stupido stupirsi e rimanerci male in questi casi. A pensarci adesso però, sul pavimento della stanza buia e con un bicchiere di rum a fianco, assaporo l’affetto che attraverso i suoi mondi si è depositato dentro di me.

Ce l’ho stampata in mente quella montagna mangiata da un mostro che l’ha resa la miniera a cielo aperto più grande dell’America Latina. Vorrei tanto che fosse uno dei tanti mostri dei suoi libri, quelli che arrivavano sotto forma di latifondo o di quelle porcherie lì e che sconvolgono interi villaggi per poi rimanere solo un ricordo quando finisci di leggere il libro. Ho paura però che così non sia e non posso che masticare amaro pensando a tutti quelli che in questo libro ci stanno ogni giorno, come alla voce della donna che qualche ora fa mi raccontava di quanto sia difficile opporsi al mostro rischiando la vita ogni giorno, sentendosi soli.


Lui lo sapeva, perché era un compagno raro. L’amore, la denuncia e il piacere di raccontare.

giovedì 27 marzo 2014

Il cortile verso l'ombelico del mondo

Ultima notte prima di partire. Alle quattro e qualcosa si esce di casa direzione Linate. Da lì Amsterdam e poi via verso Lima. Finisco di fare la valigia e scrivere gli ultimi messaggi di saluto verso le due. Al di là di alcuni bei messaggi mandati o ricevuti devo ammettere che a sto giro non sentivo granché la partenza. Non la percepivo come una cosa solenne. Sarà anche per il fatto che non c’era la pioggia di Neruda, che mi aveva battezzato il giorno della partenza per il Guatemala.

Si parte, si va all’aereoporto, un abbraccio troppo rapido coi genitori, forse per non lasciar trasparire le emozioni. Mi incontro verso il banco accettazioni con gli altri ragazzi che partono con me. Tutti sorridenti e festaioli, forti del partire con un bel gruppo che nel giro di pochi giorni è già riuscito a formarsi.

Ecco, io la doccia alle 3 e mezza me la ero già fatta, però era bella calda. Per quella fredda c’ha pensato la signora dell’alitalia. Le nostre risate impiegano qualche tempo per scemare e capire che la questione è grave. Il biglietto di ritorno è per un periodo superiore ai 6 mesi, periodo massimo di permanenza senza visto, e quindi non possiamo partire. Panico paura! Altro che la sessione “come rispondere agli imprevisti” che abbiamo seguito con scarso interesse durante la formazione. Nel frattempo mi arriva un messaggio. La ragazza che partiva da Alghero ha trovato nebbia e non è potuta partire. Nebbia ad Alghero???? Eh, a quanto pare il mondo oggi è contro di noi.

Tornando a noi, proviamo a parlamentare a modo nostro, poi si decide di tirare giù dal letto il coordinatore. Lui con la bocca impastata prova a parlare con la tipa che a un certo punto esclama alla cornetta “con che autorità chiedo circa i visti”?!?!? e mi ripassa il telefono dicendomi “guardi parlateci voi”. Situazione surreale. Veniamo mandati alla biglietteria alitalia per poter comprare un biglietto di ritorno entro i sei mesi. Nel frattempo il tempo è passato rapido. Avete ragione, questo racconto non ha niente al cardiopalma. Arrivo al dunque. Il tipo della biglietteria ci dice “ok, vi sposto il biglietto senza sovrattassa”. Ma scusi, la sua collega aveva detto… “lasciate perdere quella là”. Fuga!!! Si parte!! Via ad Amsterdam. Ci incontriamo con quelli venuti da Roma e Venezia mentre la sarda si orienta ancora nella famosa nebbia di Sassari.

Saliamo sull’aereo della KLM. Posti liberi per 130 passeggeri. Yahooo!! Io inizio a sentire che la febbre sale. Vaccino della febbre gialla di merda. E per fortuna che m’hanno detto che non dava effetti collaterali. Febbre, mal di pancia, dolor de cabeza… mi approprio di tre posti, 5 cuscini e n+1 coperte. Non riesco a dormire e sicuramente il cibo terrorista che ci danno non aiuta a far calmare la mia nausea. Finalmente riesco a trovare il sonno dopo un bel po’ di ore di tentativi. Sbam!! Varie cose mi cadono addosso e mi sveglio di soprassalto. “Holy shit”, esclama la hostess nel guardare tutto il mio vassoio cadutole di mano e rovesciatosi sopra di me. Nel frattempo il resto della ciurma ha ben deciso di sfruttare a fondo l’open bar della klm. Io sempre da schifo invece. Cerco di consolarmi con la televisione di bordo e mentre c’è chi si spara “12 anni schiavo”, io punto sul vecchio Tom & Jerry, sentendomi un po’ bambino malato. Finalmente Lima. Dall’aereo, momento del tramonto, il sole è bellissimo. Sembra che sia sott’acqua, immerso nel pacifico. A sinistra, invece, scorre un paesaggio marziano. Tutto desertico e agglomerati urbani molto strani. Più si va avanti e più si infittiscono fino a diventare una distesa immensa. Casette ovunque che già a guardarle dall’aereo capisci il degrado che può caratterizzarle. In ogni caso, guardando sta città così grande, mi dico “per fortuna che vado sulle Ande”.

Arrivati all’aereoporto non trovo ad aspettarci Janet, la signora della ong che doveva venire a prenderci. Ciò nonostante vengo assalito subito da un surreale Giovanni Mellone in camicia bianca che a stento contiene la gioia colpendomi la testa. Se fosse stato un assalitore mi avrebbe spogliato senza problemi! Invece era solo un’ottima sorpresa!

Ieri, primo giorno a Lima, ci hanno fatto fare formazione di vario tipo. Un incontro con un tipo con due palle così che ha parlato della lotta per la difesa dei diritti umani durante questi 30 anni. Poi un inquadramento politico-storico del peru e, nel pomeriggio, sessione di tradizioni, favole, cibi e balli locali. Abbiamo bevuto la Chicha che a me sapeva tanto del malto che qualche volta in fabbrica rimaneva in dei posti difficili da pulire e fermentava emanando un gran tanfo. Comunque, ne ho bevuta parecchia! E poi le foglie di coca, con la tipa che ci teneva a dirci che non è droga ma una pianta medicinale… tutto molto bello comunque!



Ora sono già al secondo giorno a lima. Sono le sette di mattina e mi sono svegliato un po’ prima per prendermi del tempo per me. La febbre è andata via. Ancora non sono uscito da queste mura della struttura dove stiamo facendo formazione. Oggi teoricamente andremo a visitare alcune delle zone rurali dove opera la Ong cosi finalmente inizio a vedere il Peru. 

Il cortile è continuamente in movimento

giovedì 20 marzo 2014

La deriva dei continenti



La prima volta che varcai l'invisibile linea che separa i continenti avevo 22 anni. Fu allora che iniziai a confrontarmi con le peripezie burocratiche che animano gli uffici immigrazione di un mondo e che chi nasce e cresce nell'area Schengen non immagina. Quella volta andai in Togo e lì restai quattro mesi, dando nel frattempo una fugace visita a un paio di altri paesi dell'Africa occidentale.

Quando ero a Lomè spesso ripensavo con nostalgia a casa, scrivevo a parenti ed amici molto più di quanto non faccia oggi, assuefatto come sono al cambiamento. Più che la distanza è il cambiamento a giocare un ruolo in questo mio ragionamento.

Una notte, mentre mi rigiravo come una tarantolata fra delle lenzuola umide feci un sogno così realistico da rimanere fino a oggi impresso nella memoria come un evento davvero accaduto. Ancora ricordo infatti come fosse ieri quella volta che ebbi la possibilità (non so come, né perché) di lasciare Lomè per un fine settimana e ritornare a Lecce. Qui rividi i miei, mi feci preparare il mio piatto preferito, ritornai per un paio di giorni alle vecchie abitudini, la vecchia routine. Non misi neanche il naso fuori di casa tanto era grande il desiderio di sfruttare al massimo quelle poche ore che mi erano date; e per me questo significava rimanere a casa.

La mattina riaprendo gli occhi ci misi qualche secondo a capire dove mi trovassi, cosa fosse successo. Una cosa che però non ricordo è se fosse più la felicità per essere stato un paio di giorni a casa o la delusione di non esserci stato davvero. Forse più semplicemente quella di non esserci rimasto un po' di più.

A distanza di qualche anno da quel fine settimana, che fu forse solo una notte come tante, ieri sera mi è capitata una cosa simile. Uscito dalla oficina, col solito sole rosso acceso e i roghi serali di colline di rifiuti a disegnare scenari apocalittici lungo Calle Izaguierre, ho preso il bus come ogni giorno, quello che taglia Lima o che comunque, di solito, mi porta a casa. Ancor prima di aver percorso metà del tragitto però sono sceso alla fermata dell'aeroporto. Qui, dopo mezzora, ho avuto il mio pezzo di casa. Non voglio perdermi in discorsi tediosi su quel che si prova a vedere un amico arrivare nella tua nuova terra sapendo che ci rimarrà anche lui per un bel pezzo. Noi due sappiamo e questo basta. Spero che questo camuno riceva dal Perù quello che sto avendo io. Condivideremo l'attesa di quelli che ancora non hanno fatto il grande passo verso l'emisfero australe.

domenica 2 marzo 2014

Bronzo, argento e oro



Da un lato all'altro della camera ora pendono quattro stracci i quali io, restituendo loro un po' di dignità, vorrei chiamare magliette. E' un vecchio rimedio che chi ha frequentato il soppalco di Via Brichetti qualche anno fa ricorderà. Una sottospecie di soluzione d'arredo in mancanza di oggetti d'arredo. Questa camera non è molto più ampia di quel soppalco, affacciandomi alla finestra di notte non c'è un'anonima stazione della Bassa padana persa nella nebbia, ma le luci di un quartiere, Magdalena, lungo le cui avenidas i grattacieli vengono su come funghi, come a Hong Kong. Proprio uno di questi grattacieli fra qualche mese oscurerà le basse e colorate case di Calle Daniel Hernandez e delle altre calles che si ramificano alle spalle di Avenida Brasil. Da un tredicesimo piano ce n'è di strade da vedere.

La speranza è dunque che almeno qui in Perù non costruiscano alla stessa velocità di chi, sull'altra sponda del Pacifico, tira su 30 piani in 6 mesi. E' rassicurante il fatto che cercando su internet bambù in Perù, trovi soltanto un ristorante cinese.

Senza che nemmeno me ne sia reso conto intanto un mese è passato. L'iniziale entusiasmo è divenuto consapevolezza. Quella di trovarmi in un luogo che prima di prendere e pretendere ti dà delle opportunità. Sentirsi derubato di undici ore di libertà ogni giorno, costretto a una scrivania con le catene della busta paga, è d'altronde un inevitabile corrispettivo per tutto quello che in coscienza si è voluto lasciar dietro.

Non era soltanto oro tutto quel che luccicava. Queste undici ore sono un bel pezzo di bronzo finito dritto nei denti. Come una vecchia amica mi ha detto, il sentimento di inadeguatezza dietro una scrivania è comune a tanti. Nonostante questo, resta la bellezza di Lima, la sua elegante anarchia, il fermento e l'eccitazione per i nuovi progetti oggi supposti, proposti a un amico, e domani realizzati.

Ci sarebbe anche dell'argento da qualche parte, l'hanno lasciato alcuni zingari passati di qua. Non essendo come loro molto incline al nero sulle dita, aspetto di capire se sia anche quello oro o, viceversa, bronzo.

martedì 28 gennaio 2014

Lima, l'anarchica




"Cristo!". Quasi mi scappa un grido. All'ultimo secondo il ragazzo schiva il paraurti e con un salto continua la sua corsa sul marciapiede. L'autista è impassibile, l'autobus continua la sua serpentina  fra le auto. Sembra la favola della gabbianella e il gatto, il pullman di dieci tonnellate che credeva di essere un vespino. 
Di quei gatti le strade di Lima sono piene. Nessuno si arrendere a non essere nato pennuto.

Proprio in autobus nascono questi appunti, dalla necessità di trarre qualcosa dalle 2/3 ore che ogni giorno devo trascorrervi per andare al lavoro e a sera di nuovo a casa, nel quartiere residenziale di Magdalena del Mar.

Fuori ormai è buio, l'aria, dopo un pomeriggio afoso, è fresca. Alcune saracinesche si abbassano, i primi piani degli antichi palazzi coloniali del centro si animano. Molti ospitano le sale di ristoranti e bar. Dalle finestre esce ogni sorta di musica, si mischia all'incessante clacson. I cartelloni che minacciano pesanti multe agli autisti  che ne facciano uso eccessivo hanno meno credibilità delle campagne dei governi africani contro la corruzione.

Io non devo avere un aspetto troppo gradevole, ma non sono a una cena di partito e poi mi sento davvero bene. Il mercato di Puente Camote da cui la sera parte il primo autobus ridiretto verso sud ricorda vagamente le immagini della Siria mandate dai telegiornali. Carcasse di vecchie auto arrugginite, case stonacate coi mattoni a vista, cani randagi che giocano fra i bambini. Tutto sfumato da una fitta polvere sollevata da ogni pneumatico che attraversa la strada di terra. Ancora la sento fra i denti e nei capelli. Il quartiere di San Martìn de Porres, nato dalla migrazione degli anni '80 è ancora un cantiere aperto. E' nato dalla fuga dalle campagne, si è sviluppato nel rifiuto della città. Un mondo a sé stante, al rifiuto ha risposto con la diffidenza. 

Oggi San Martin accentua quel vago spirito di anarchia che aleggia sulla città. Me ne sono innamorato subito. Forse è solo la passione iniziale, andrà spegnendosi con l'esperienza, i tradimenti e le fregature. Sarò solo un altro arresosi alla schiavitù della busta paga, alla tortura poco remunerativa del lavoro, sedotto da questo spirito di anarchia che impregna l'aria fino al cancelletto di casa, oltre il quale l'acqua dello scarico scende giù come in Europa. Altro che defecazione all'aperto.

giovedì 23 gennaio 2014

Dromomania



Detta anche pariomania o nomadismo o nevrosi da vagabondaggio, si manifesta o come un bisogno insopprimibile di fuga dalla dimora abituale o come un'incoercibile tendenza a vagare da un posto all'altro con fughe improvvise che generalmente avvengono senza un rapporto sufficientemente comprensibile con la situazione che lo precede, senza alcun piano e senza una meta prestabilita. Quando non è una reazione a stati di disforia scatenati da circostanze esterne, la d. è interpretata come ...

A voler leggere i dizionari si fa presto a finire nella cartella clinica.
La definirei piuttosto come incessante ricerca dell'essenziale, non necessariamente specificato. Condizione psicopatologica che ha ripreso ad affliggere l'umanità dopo una o due generazioni di sopore.

sabato 16 novembre 2013

MUCHO GUSTO...


Come sapete in America Latina all`anagrafe tutti devono avere due cognomi, quello del padre e quello della madre, e due nomi. Ció ha dato la possibilitá ai genitori di sbizzarrirsi, e dare qualsiasi tipo di nome ai propri figli. Vi propongo quindi una carrellata dei casi piú incredibili di cui sono venuto a conoscenza.


Spesso i nomi sono specchio della societá, se a Napoli negli anni '90 sono nati un sacco di Diego,Armando e di DiegoArmando, in compenso in Ecuador si possono trovare un sacco di Stalin e Lenin, per non parlare di Adolfo Hitler come da prova fotografica, fino ad arrivare al famoso Hitler Stalin, figlio del signor Hitler Fluver Corral Saldarriaga. Io personalmente ne ho conosciuti un sacco! Ma questo é solo l'inizio. 



La regione piú gravida di soprese é sicuramente Manabí, regione costiera abitata principalmente da afrodiscendenti, dove a quanto pare ai genitori non importa una cippa dei traumi psicologici che un nome bizzarro possa causare ai figli. La cosa é talmente generalizzata che il governo é dovuto intervenire, infatti l'articolo 78 della legga del Registo Civile recita che:


Queda prohibido emplear en la inscripción de un nacimiento, como nombres los que constituyan palabras extravagantes, ridículas o que denigren la personalidad humana o que expresen cosas o nociones, a menos que su uso como nombres se hubiere consagrado tradicionalmente.


Dai nomi per esempio si puó capire il risultato della squadra del cuore del padre: si va dal Dos a Uno Angulo, al Victoria Apretada Obregón Carrera, passando per il piú diplomatico Justo Empate Enríquez.

I nomi possono anche esprimere desideri o buoni auspici, non parlo di parole altisonanti o immaginifiche come i nostri Grazia, Gaia o Benedetta. Qui la gente é molto piú pratica! C'é chi pensa solo ai soldi, possiamo trovare infatti Onedolar (da leggere rigorosamente come é scritto), oppure chi invece pensa che il segreto della felicitá risieda nella macchina che guidi, cosí dovevano pensare i genitori del signor Land Rover García. Oppure, chissá, il nome dipenda da dove é stato concepito il bambino.

Il nome ci puó anche raccontare una storia, di come si é arrivati a consumare l'atto, cosí si potrebbe pensare sia capitato con il signor Exquisita Pílsener, oppure a come si devono essere sentiti i genitori il giorno dopo, e potrebbe essere questo il caso dei signor Alka Seltzer Solórzano e Vick Vaporoup Giler. Non tralasciando peró di dare un giudizio di valore dell'atto in sé, vero signora Cabalgata Deportiva Vera?


Anche il tempo gioca un ruolo importante in questo elenco, inteso sia come calendario ma anche come contestualizzazione geopolitica. Mi spiego meglio, cosa pensate che possa passare per la testa di un genitore che chiama il proprio figlio Martes Trece Santana, Año Bisiesto Owen, o Puente Vacacional Alcívar? 

Evidentemente c'é qualche genitore appassionato di politica e di relazioni internazionali, altrimenti non si spiegherebbe l'esistenza dei signor Conflicto Internacional Loor, Himno Nacional Salgado (sicuramente molto nazionalista), John Kennedy Minda e per non farci mancare nulla pure Richard Nixon Quiñonez!

Ce n'é per tutti, sei un fan sfegatato degli USA? Ecco qua il signor Houston Texas Ponguillo Loor! E se sei pure appassionato di musica eccoti servito un bel Michael Jackson Quiñonez, mentre se invece ti viene fame possiamo servirti un ottimo Burguer King Herrera!

Ce ne sarebbero molti e molti altri ancora, ma voglio lasciarvi con quelli che a me sono piaciuti di piú e che, sicuramente, non necessitano di nessun commentario:

Perfecta Circuncisión Hidalgo

Cristo Crucificado Cañarte

Semen de los Dioses Bazurto Quesada




venerdì 18 ottobre 2013

Stessi occhi, vecchi sguardi.



Ieri sera sono rimasto in università fino a tardi, si perchè l’università dove studio è aperta 24 ore su 24, sette giorni su sette. Ci sono guardie armate che ogni tanto si fanno un giro per controllare, ma permettono a tutti di entrare e di usufruire degli spazi. Puoi usare i computre (tanti) disseminati per corridoi e laboratori, oppure puoi metterti a studiare nelle aule, che sono sempre aperte.


Nel pomeriggio invece stavo studiando in biblioteca, un’altro edificio nuovissimo di cui 5 piani aperti al pubblico e il resto uffici. Li ogni piano ha la sua specificità, puoi scegliere se andare al terzo, dove oltre ai tavoli normali, ci sono camere insonorizzate, fatte appositamente per chi deve studiare in gruppo. Oppure puoi andare al quinto, dove ci sono altre camere, arredate quasi meglio di casa mia, con divani e poltrone, dove puoi metterti comodamente a guardare un film su schermi piatti giganti. 
Ah quasi dimenticavo che in ogni piano ci sono ovviamente computer, per studiare e altri appositamente per cercare libri nel database della biblioteca, e scanner, si scanner che ti permettono di mettere su chiavetta tutto il materiale di cui hai bisogno, senza controllo alcuno.


Ogni piano, della biblioteca e dell’università, è provvisto inoltre di grandi vetrate, da cui ti godi lo spettacolo della città illuminata di notte, e delle Ande di giorno. Il Ruco e il Guagua (vecchio e giovane in quicwa) Pichincha ti guardano mansueti dall’alto, e riesci a scorgere dove finisce la città, con le ultime case aggrappate alle pendici delle montagne, e dove comincia la foresta che accompagna la vista quasi fino alla vetta, dove si arriva ai 4000 metri.
Dicevo, che sono rimasto a studiare fino a tardi, era quasi mezzanotte quando sono uscito. Purtroppo a quell’ora non ci sono più nè mezzi pubblici nè bus, o per lo meno non nella direzione in cui dovevo andare io. Così dopo aver aspettato inutilmente che passasse qualche mezzo mi sono arreso alla realtà dei fatti, e mi sono deciso a prendere un taxi, cosa che odio fare perchè mi sa molto di gringo con i soldi, ma non avevo alternative.


Il taxista era un tipo simpatico e gli ho dato chiacchiera volentieri, l’argomento di conversazione più gettonato era ovviamente la qualificazione ai mondiali dell’Ecuador, terza volta nella sua storia. Il viaggio così stava scivolando via, chiacchierando e guardando le strade buie che si susseguivano, ogni incrocio mi avvicinava a casa, una notte come tante altre.


Arrivati all’ennesimo semaforo, verde, troviamo la strada bloccata da alcune auto. Ci fermiamo e cala subito il silenzio, era evidente che fosse successo qualcosa, qui la gente quasi non si ferma quando i semafori sono rossi, figurarsi di notte se sono verdi! Inoltre spesso i taxisti mi hanno raccontato quanto sia pericolo in certe zone fermarsi di notte, anche col rosso, perchè spesso i ladri approfittano della sosta forzata per assaltarti.
Dopo qualche secondo vediamo scendere un uomo dal sedile posteriore della prima auto, la macchina davanti a noi nello stesso momento svolta per una stradina laterale e allora finalmente capiamo perchè ci siamo fermati.


In mezzo alla strada un uomo riverso in un bagno di sangue, non si muove, le braccia messe in una posizione innaturale, immobile, vicino a lui alcuni sacchi della spazzatura fatti a pezzi, e il contenuto sparso per il marciapiede e la strada, chiari segni di lotta, non bisogna essere Sherlock Holmes per capirlo.
I vestiti sporchi intrisi di sangue, la faccia una maschera rossa, dove a malapena si intravede la parvenza di un naso.
L’uomo sceso dalla macchina lo prende per la giacca, lo trascina sul marciapiede e lo lascia mezzo girato sul fianco, con la faccia rivolta verso i fari delle macchine, probabilmente per evitare che affoghi nel proprio sangue, poi raccoglie il cappellino del malcapitato e lo butta in mezzo alla spazzatura. 


Risale in macchina. 


Strada finalmente libera.


Si riparte.


Silenzio.


Pochi metri più in la, sulle scalinate di un palazzo, altri barboni si apprestano a passare la notte, difendendosi dal freddo con coperte sudicie e cartoni. Il taxista scherzando mi dice “Mira, esos son los amigos de ese man”, alludendo in modo ironico (secondo lui) al fatto che a ridurre quel povero cristo così fossero stati i suoi “colleghi” di vita.

Ma non c’è un  bel cazzo da ridere. Pochi minuti dopo sono finalmente a casa, faccio meccanicamente tutte le operazioni di fine giornata, mi spoglio, accendo il pc, musica, pigiama, bagno, uno sguardo distratto e annoiato a facebook, un’altro trepidante alla mail (no, la relatrice non m’ha ancora risposto), qualche sito d’informazione giusto per rodersi un po’ il fegato (tra l’altro il nuovo lyout di repubblica fa cagare), spengo tutto, letto.

Peccato che uno non possa scegliere invece quando spegnere il cervello, chiudere gli occhi non basta per far finire questa lunga giornata. Ripenso a quando vivevo qui, in un quartiere povero del sud (curioso che la povertà sta sempre a sud), lavorando con gli ultimi degli ultimi, quando scene come quella di questa notte erano all’ordine del giorno. Quando la gente collassata a lato della strada, specie durante il fine settimana, era ormai parte dell’arredo urbano, tanto che neanche ci facevi più caso dopo alcuni mesi.

Mi ricordo che tornai a rendermene conto un giorno, era domenica mattina, stranamente ero riuscito a svegliarmi presto, forse per andare a fare una scampagnata al nord. All’angolo della via c’era un parchetto, un pratino con della ferraglia, una volta giostrine per bambini, e un campetto da pallavolo, due pali con un filo teso come rete. Due bambini stavano giocando a pallone, avranno avuto 10 anni, la sfida consisteva nel tirarsi la palla, evitando di colpire un ostacolo che si frapponeva fra i due. Quell’ostacolo non era nient’altro che un uomo, collassato dopo una notte passata a bere birra Pilsener, che non aveva avuto la forza o la volontà di tornare fino a casa.

Nel letto ricordavo e pensavo, a quell’uomo riverso in mezzo alla strada, e a quell’altro che lo adagiava sul marciapiede. Tutt’intorno una cortina di indifferenza mista a paura, abitudine e disprezzo. Nel taxi si poteva sentire distintamente il disprezzo del taxista, e l’odore pungente della vergogna che emanava da me. Io sono rimasto in macchina, non sono sceso, non ho aiutato quell’uomo, non ho chiamato nessuno, nè polizia nè ambulanza. Lasciamo da parte per un attimo il fatto che tanto non sarebbero venuti, un barbone agonizzante non è degno delle attenzioni delle forze dell’ordine nè di qualsiasi ospedale. Ma io l’ho lasciato lì, indifferente come tutti gli altri, una volta risolto il problema e liberata la strada me ne sono andato, come tutti gli altri, mi sono adeguato, ho guardato dal finestrino dell’auto e niente di più, come spesso fa la gente, la stessa che a mia volta disprezzo e critico.


Forse in realtà non avevo molta scelta, si potrebbe dire che sarebbe stato pericoloso, addirittura inutile, i suoi “colleghi” avrebbero potuto assaltarmi, il taxista avrebbe potuto scappare e lasciarmi li, in piena notte, in balia della strada. Forse. Oppure no. Sicuramente questi pensieri non sono bastati a farmi dormire tranquillo ieri notte.

giovedì 26 settembre 2013

“LA REVOLUCIÒN CIUDADANA AVANZA”




Sono la prova vivente che è possibile prendersi l’influenza in un paese ecuatoriale! Così ho pensato bene di dedicare queste ore di inattività forzata alla scrittura, e perfino ho proposto io per primo una skyppata ai miei! Cose mai viste insomma..

Qualche giorno fa chiacchieravo con un amico italiano che lavora qui a Quito, tiene alcuni corsi in una buona università, e mi spiegava come funziona il meccanismo della dichiarazione dei redditi e più in generale della tassazione diretta. Che palle direte voi, e confesso che l’ho pensato anch’io, invece si possono scoprire cose molto interesanti e sorprendenti, tanto da avermi portato, vostro malgrado, a volerle condividere con voi!

In questi ultimi mesi si è parlato molto dei giacimenti di petrolio situati nel parco naturale dello Yasunì. Sarebbe la riserva con la più grande biodiversità del mondo, patrimonio dell’umanità, abitata da popolazioni indigene in isolamento volontario, e chi più ne ha più ne metta.. Questi famosi giacimenti sono proprio quelli tutelati dal governo del buon Correa quando, a partire dal 2007, aveva chiesto al mondo una sorta di “indennizzo” di svariati milioni di dollari, in cambio della preservazione della foresta amazzonica. L’iniziativa, chiamata Yasunì ITT (dalle iniziali dei quadranti interessati: Ishpingo, Tiputini y Tambococha )si proponeva in  pratica di ottenere fondi dalla comunità internazionale, in cambio della mancata estrazione di petrolio.

Questa politica faceva parte di una più ampia strategia ambientalista, che ha caratterizzato l’azione politica del Correa fin dai suoi esordi, quando, caso unico al mondo, venne posto nella costituzione l’obbligo alla tutela della Natura, intesa praticamente come soggetto giuridico (un giurista storcerebbe il naso di fronte a questa frase ma credo che il senso si sia capito). A ciò fecero seguito tutta una serie di iniziative volte alla sensibilizzazione ambientale, a livello nazionale e internazionale, per spingere i governi di tutto il mondo a condividere il “fardello” della gestione del polmone verde di questo pianeta. Piccola nota, c’è chi sceglie il colore del proprio partito in base al colore della maglietta della nazionale (azzurro), e chi invece sceglie come Correa il colore più rappresentativo di un paese tropicale, il verde. Populismi e buoi dei paesi tuoi..

Pochi giorni fa, adducendo come motivo la mancanza di buona volontà del mondo intero, il governo ha deciso un cambio repentino di politica, e ha dato il via, dopo previo voto favorevole del parlamento, allo sfruttamento proprio di quel bacino petrolifero, intoccabile fino al giorno prima. Ciò ha causato forti contestazioni da parte dei media, storicamente ostili al Presidente (vedi vicenda El Universo ma questo è un’altro discorso), che hanno portato a dibattiti a mezzo stampa in realtà poco sentiti dalla popolazione.


Non vi è stata una reazione “popolare”, ma sembra invece que la questione sia stata più che altro strumentalizzata dalla (debole) opposizione per far pressione sul governo che, forte dell’appoggio delle masse, si è preoccupato invece di imbastire una massiccia campagna pubblicitaria (a mezzo televisione) per giustificare il proprio voltafaccia.
Parlando con “la gente” si capisce che il messaggio che è passato è del tipo “per lo sviluppo del paese abbiamo bisogno il petrolio, l’amazzonia è grande, qualche albero in meno in cambio di scuole e ospedali ci può stare”, una sorta di pragmatismo machiavellico indotto dalla disinformazione veicolata dalla televisione, principale mezzo d’informazione delle masse popolari.

Secondo i più attivi sostenitori di questo governo, non vi è stato alcuno strappo, essendo la decisione frutto dell’immobilismo della comunità internazionale. Il tema è, comprensibilmente, che l’Ecuador ha diritto a sfruttare le proprie risorse naturali come più gli aggrada, per raggiungere gli obiettivi di sviluppo e “buen vivir” a cui ambisce ogni nazione di questo mondo. E se per farlo bisogna immolare qualche ettaro di foresta sull’altare del progresso, allora il prezzo non è neanche così sostenuto. In fondo da qualche parte bisognerà pur trovare le risorse per sostenere i vari programmi sociali a tutela dei più poveri, o per pianificare quelle opere pubbliche che così efficacemente contrastano la disoccupazione e stimolano il commercio! Senza parlare della spesa pubblica in educazione e sanità: se la partecipazione scolastica elementare ha quasi raggiunto il 100% un motivo ci sarà no?

Il governo ha quindi giustificato le trivellazioni, in termini di risorse economiche da investire in programmi sociali, e quindi a beneficio dell’intera popolazione. Così mi è venUta la curiosità di saperne di più su quali siano le entrate, e le principali voci di spesa di questo governo. Ciò, unito alle fruttuose conversazioni con vari italiani che lavorano stabilmente qui, mi ha portato verso il versante “fiscale”.

Ho scoperto così che l’Ecuador è il paese con la pressione fiscale più bassa di tutta l’America Latina. Nella pratica, ogni mese tu lavoratore devi fare una specie di dichiarazione dei redditi, che determinarà quanto devi pagare di imposte dirette. Tuttavia da questo ammontare si possono detrarre spese per cibo, vestuario, e istruzione. Così alla fine dell’anno viene fatto un calcolo di quanto hai versato, di quanto hai speso, e a seconda dello scalone in cui sei ti viene restituito tutto o parte di quello che hai versato, ed in alcuni casi anche di più!

In Ecuador per legge lo stipendio minimo è di 318$, un “almuerzo” in giorni feriali costa circa 2$, una birra 1.25$, l’autobus cittadino 25 cent., e via dicendo. Come si può facilmente capire il costo della vita è molto basso, senza contare che anche la benzina è sovvenzionata.. Tutto ciò per arrivare a dire che, secondo gli scaloni di cui sopra, non si pagano tasse fino ad un reddito annuale di circa 10.000$, cioè quasi tre volte il salario base! Con buona pace delle classi medio-alte, che si trovano a sopportare una pressione sproporzionata in termini di imposte dirette ed indirette, specialmente sui beni importati.

Ad essere maliziosi, o realisti, si potrebbe pensare che tale politica sia orientata non tanto da considerazioni di giustizia sociale, quanto piuttosto da meri calcoli elettorali, essendo le fasce più povere la base elettorale di questo governo. Inoltre secondo numerosi economisti, alcuni dei cuali ex collaboratori dello stesso Correa, questa situazione non sarebbe sostenibile nel lungo periodo, in quanto porterebbe nel giro di alcuni decenni ad un forte deficit delle casse dello stato ed alla bancarotta.

In conclusione risulta che questo bellissimo paese sia ancora troppo dipendente, da un lato, dall’esportazione di materie prime e quindi esposto alla fluttuazione dei prezzi nei mercati internazionali. E dall’altro, che sia ancora prigioniero di politiche interne caratterizzate da una forte connotazione populista, poco lungimiranti e ancor meno sostenibili nel lungo periodo. Correa ha fatto moltissimo per lo svulippo di questo paese, mettendolo sulla strada della modernità e dandogli un ruolo a livello internazionale, ma molto si può e si deve fare, in quanto di questi tempi specialmente, un capo di stato che si professi socialista non può che suscitare grandi aspettative.


sabato 7 settembre 2013

Pilsener: ecuatorianamente refrescante



Si sa che una delle mie più grandi passioni, sia dedicarmi alla scoperta di tutti gli effetti possibili, sia fisici che sociali, associati all'uso e all'abuso di sostanze alcooliche. Di tutti i tipi.

Sarà per questo che non ho dismesso l'abito del "ricercatore" neanche l'ultima sera prima di imbarcarmi per questo viaggio. Il risultato, prevedibile, è stato una corsa folle in macchina fino alla sezione partenze dell'aeroporto Malpensa.
Arrivare 25 minuti prima della partenza di un volo intercontinentale, e pretendere di essere imbarcati, è un'esperienza che non auguro a nessuno, fosse solo per il fatto che ti metti a pensare a quanto può essere stupido rischiare di buttare nel cesso un biglietto di più di mille euro, acquistato senza neanche fare l'assicurazione, per aver bevuto "qualche" bicchiere di troppo.
Non dimenticherò mai la frase dell'impiegata al check-in che, dopo lunghe discussioni, finalmente mi permise di imbarcare la valigia, e mi diede la carta di imbarco dicendomi: "Signore, adesso deve correre". Che dire, accettai il saggio consiglio e corsi come neanche Forrest Gump avrebbe saputo fare.
Sospinto dall'inboccaallupo gridato alle mie spalle delle simpatiche signorine dell'Air Europe (al quale risposi prontamente "CREPI" rischiando di schiantarmi contro una barriera architettonica), arrivai finalmente al gate, ultimo, sudato, disidratato e con un chuchaki (resaca o post-sbronza) da competizione.

In un certo senso credo che questo possa essere il modo migliore per approcciarsi ad un viaggio verso un paese come l'Ecuador. Qui lo sport più praticato, dopo il "dare asilo politico a chi sputtana gli USA" e il gioco del "trivelliamo la foresta amazzonica per il petrolio", è sicuramente l'alcoolismo! D'altronde immaginatevi un posto dove ovunque puoi trovare birre (da 66cl) a un dollaro, meno di euro, praticamente il costo di un caffè! Se Ciccio avesse cercato lavoro qui il settimo colloquio neanche se lo ricorderebbe..

Come ogni sport ha le sue regole. Tanto per cominciare la domenica nessun esercizio commerciale può vendere nessun tipo di bevanda alcoolica, e questo non perchè sia il giorno del signore benedetto. Il motivo è molto più terreno: è stato infatti "empiricamente" dimostrato che sennò una buona percentuale della popolazione arriverebbe al lavoro il lunedì ancora ubriaca!
Un'altra regola curiosa è che, in prossimità delle elezioni, questo divieto si protragga nei 5 giorni precedenti e successivi alla tornata elettorale, causando panico e corse ai supermercati che neanche quando c'erano gli allarmi nucleari negli USA durante la guerra fredda..
Girando per le strade il venerdì e il sabato notte, ti viene da pensare che la gente abbia alcool al posto del sangue nelle vene, o come direbbe qualcuno "c'è del sangue nel mio alcool".

Qui succede poi che magari il governo aumenti le imposte selle bevande alcooliche, facendo arrivare il liquore più economico alla cifra astronomica di 5 dollari! E succede pure che la gente decida di fabbricarselo direttamente in casa, e poi magari di rivenderlo e di farci un piccolo business. Succede poi anche che, nelle settimane successive, ci siano strane epidemie, che magari colpiscono solo un villaggio, lasciando intatti tutti quelli limitrofi. Come ogni medico sa, sono di quelle epidemie che colpiscono solo durante la festa del pueblo, quando a farla da padrona è una bevanda composta proprio con quell'alcool fatto in casa, che si scoprirà poi essere adulterato ed essere riconosciuto colpevole della morte di decine di persone.

Così, fatta una bella scorta di ottima birra Pilsener, mi appresto a scendere in campo, cercando di sfoderare una buona prestazione, nonostante l'altitudine. Bisogna pur adattarsi agli usi locali no?
Non mi sono mai piaciuti quei personaggi che viaggiano e pretendono di avere le comodità, i sapori e gli odori di casa ovunque vadano!

Ora devo andare, di là mi aspettano un cubano, un'italiana e una colombiana..no, non è l'inizio di una barzelletta, ma piuttosto l'inizio di una serata qui a Quito. Il meteo dice che ci saranno abbondanti precipitazioni di birra, accompagnate da temporanee discussioni politiche, seguite da balli alternati di salsa, reggaeton e cumbia (giusto per non cadere negli stereotipi).

Meno male che basta alzare gli occhi per vedere tutt'intorno queste montagne immense che, verdi e rotondeggianti, ti guardano maestose dall'alto dei loro 3000 metri. Una presenza solida, da cui trarre un po' di forza e coraggio, perchè nonostante tutto ci sono sempre delle certezze su cui puoi contare, dei punti fermi nella vita di ognuno da cui poter ripartire e a cui fare ritorno.

Come testimonia questo blog appena nato.