sabato 5 ottobre 2013

Seconda parte - A Bissau c'è piazza Che Guevara

La strada dall'aereoporto di Bissau è illuminata. Lo è da pochi anni, ci rivela Maria. Maria è la coordinatrice spagnola dei 3 progetti, e vive qui da otto anni.
Nicola, Imma e Justyna resteranno a Bissau, dove collaboreranno con una sezione della scuola primaria e secondaria di Sao Josè, chiamata Gerico. Laura e Jorge andaranno a Cacheu, alla Cooperativa Agropecuaria Joven Quadros; io e Sylvia a Quinhamel, presso Artissal, una ONG che si occupa soprattutto di sviluppo locale attraverso il Comercio Justo.

Dopo qualche centinaio di metri in cui la strada sembrava più assestata di una qualsiasi strada provinciale pugliese, l'asfalto scompare per fare posto ad una terra battuta rossiccia impestata di crateri, simili al grand Canyon ma con più bauxite. E con più buchi. Solo il Palacio do Guvierno spicca tra i ruderi e le gru parcheggiate tutte intorno, a bordo strada.
A causa di questo dissesto idrogeologico fatto a strada, il nostro cacciatorpediniere da rua si ferma spesso per evitare che qualcuno salti fuori dalla macchina nel valico dei crateri sul terreno. Devo confessare di aver pensato spesso: “Fa’ che non sia qui (il posto dove dormiremo), ti prego fa’ che non sia qui”. La strada e’ costellata di baracche di legno davanti alle quali, con disarmante incoerenza, sono parcheggiate macchine di grossa cilindrata, SUV e cruiser della migliore estrazione giapponese e/o tedesca. Solo il giorno seguente scoprirò che quella strada di giorno si trasforma in un mercato a cielo aperto, che quelle baracche sono tiendas, e che in realtà è un posto veramente strafigo. Nel frattempo Maria risponde alle nostre domande su ciò che ci circonda, nonostante la stanchezza di tutti. Mentre pregavo tutti i dei oggetto di culto in Africa Occidentale che la nostra meta fosse un po’ più in là, taaaaaaaaac, arriviamo a destinazione. Si vede ben poco di ciò che ci circonda; la casa in muratura dove dormiremo è una struttura momentaneamente inutilizzata, appartenente alla scuola di sao Jose’, custodita dal solerte Serna – un giovanotto poco più che quattordicenne, tozzarello e con una faccia simpaticissima. Non c’è acqua corrente, ci va di culo perchè c’è la luce – a Bissau si arriva fino ad un mese di fila senza corrente elettrica – e l’ampio salone che compone il centro dell’abitazione ospita una grande quantità di acqua in bottiglia, accanto a delle grosse taniche da 25 litri utilizzate per tutti i restanti scopi per cui solitamente l’acqua viene impiegata. Peccato che, a seguito di un breve check up da parte di Maria e del conducente del quale non ricordo nella maniera più assoluta il nome (Joainho, Pipinho o affini), scopriamo che i nostri galloni sono contaminati con olio da cucina e che quindi possono essere utilizzati solo per lo scarico. Evvai.
Il posto è tenuto con molta cura, (quasi) tutti i letti sono dotati di zanzariere a baldacchino impregnate di repellente per mosquitos – che in realtà risultano non pervenuti, in tutto ciò sono le 5 e dopo un breve contatto col posto e un timido approccio con i bagni si dorme che è una meraviglia.

Il giorno seguente, Maria ci raggiungerà con i galloni puliti – che serviranno ai due ragazzi di stanza a Bissau – e ci accompagnerà a Bissau per fare un giro, per cambiare gli euro in milioni di franchi CFA e per comprare delle sim card locali. Ci svegliamo tutti prima della sveglia e Maria tarderà di un bel po’. Dopo una colazione a base di un pane davvero buonissimo con manteca e marmellata, latte in polvere e colacao proviamo a mettere il culo fuori dall’abitazione. Tutto ha un aspetto completamente diverso: case disposte in maniera piuttosto irrazionale circondano Gerico, un sacco di bambini, bambine, ragazze e ragazzi si recano alla scuola accanto, con camicie bianche e treccine sgargianti. Destiamo l’attenzione di tutti, con la nostra occidentalità che non smetterà mai di sembrarmi completamente fuori luogo in un posto del genere; buona parte dei bambini - che a scuola non ci va - si affaccia attraverso i cancelli in metallo che circondano la casa. Alcuni sono piccolissimi, camminano a malapena: ci ispezionano, e cominciano a chiamarci uno ad uno per esaminare le nostre stranezze. Hanno dei sorrisi sgagnati che trasmettono una semplicità inedita. Piedi scalzi, si arrampicano sulle ringhiere, parlano criolo e si prendono in braccio a vicenda.

Ci addentriamo nel quartiere, passiamo davanti alla scuola dalla quale ci salutano tutti, i maestri interrompono le lezioni mentre un lanciatissimo Jorge risponde a tutto ciò che ci dicono gridando sorridente “No te entendìa nada!” e agitando il braccio in segno di saluto.
Ad occhio, sembra essere una delle zone più povere di Bissau. Invece no, è la norma.
Anzi, c'è una scuola! E' molto più della norma. La scuola di Sao Josè è una delle tantissime scuole private della Guinea Bissau; qui di scuole pubbliche praticamente non ce ne sono, e tutte le famiglie pagano una retta per dare un'istruzione ai propri figli. A detta di Diego - il direttore della scuola che ci accoglie nella struttura principale dopo aver lasciato Gerico con Maria per una visita nel cuore di Bissau – il Governo supporta le attività didattiche solo a parole, senza cagare un franco. Lui sarà il primo dei tanti a raccontare, insieme al suo lavoro quotidiano e di tutta la comunità, di quanto sia una merda vivere sotto un governo illegittimo e golpista. In ogni caso, sembrano messi bene: gli aiuti internazionali arrivano, e portano computer, motociclette, materiale scolastico. E soprattutto, nessuno di questi bambini mostra la benchè minima traccia di tristezza, di male di vivere o chissà che.

Lasciamo la scuola per visitare il centro di Bissau. Il palazzo presidenziale è appena stato ristrutturato dopo i bombardamenti del 1998, durante i quali fu raso al suolo il centro culturale francofono, anch'esso appena ricostruito. Il parlamento è circondato da giardini verdissimi, lo stadio è ben curato e anche bello grosso: tutto il resto è un ammasso instabile di costruzioni, prevalentemente basse, che andrebbero buttate giù e ripensate completamente.
La piazza principale davanti al palazzo presidenziale è una mega rotonda con una statua incomprensibile al centro, qui i ragazzini vendono targetas per il telefono di tutti gli operatori telefonici. La città è piena di manifesti pubblicitari della Orange, una compagnia telefonica Vodafonofila che utilizza slogan come “ti seguiamo ovunque vai”, con foto poco credibili di bambini ben vestiti con lo zaino della scuola pronti per affrontare una vita piena di magiche avventure. Nella stessa piazza c'è la sede del Partito Africano per l'Autonomia e l'Indipendenza di Capo Verde. E' un partito molto amato qui, anche se numerosi suoi esponenti – Joao Bernardo “o ninho” Viera e Gomes, entrambi destituiti a suon di colpi di stato - non hanno brillato certo per amore del pubblico e amore per il popolo Guineano. Il primo ha aperto la guerra civile del 1998 e ospitato il traffico di armi già dagli anni '80, il secondo è un ricco industriale proprietario della GALP, la principale industria petrolifera del Paese. Il primo esiliato e poi ucciso un anno dopo la sua rielezione, il secondo attualmente destituito dall'esercito e ora in esilio in Portogallo.

Junicio, uno dei ragazzi che insieme a Maria ci accompagna in giro per Bissau, è un ragazzo di 20 anni, di etnia Balanta (la seconda etnia più diffusa nel Paese) e partirà per l'Europa a breve, con lo stesso progetto che ha portato me qui. Mi parla del PAICG come dell'unico partito che abbia fatto qualcosa per il Paese, eliminando i conflitti etnici e avviando politiche di sviluppo aperte alla comunità internazionale, che però a furia di colpi di stato indietreggia sempre di più da questo posto dimenticato da Dio ma soprattutto dagli uomini.

A Bissau c'è piazza Che Guevara. E il pub Che Guevara.


Pranziamo con arroz e frango, riso e pollo in una salsa piccante veramente buonissima. Ah, levatevi dalla testa l'idea che qui si mangia di merda perchè non è vero. Durante il pranzo sentiamo una musica fortissima a base di percussioni che sembrano suonate completamente a caso. Compare dall'alto dei 2 metri e mezzo di muro senza tetto, una testa con una maschera arancione. Un tizio sui trampoli si dimena per strada, avvicinandosi con irruenza a chiunque superi il suo proximity limit. I giocolieri fricchettoni europei questo se li mangia a colazione.

Dopo pranzo facciamo un giro di ambasciate giusto per farci vedere dagli autorevoli rappresentanti dei nostri solidi Stati europei a Bissau.
L'ambasciatore spagnolo, all'uscita dei locali climatizzati in barba al fatto che in questa città passino giorni interi senza corrente elettrica, ci congeda pronosticando la crisi totale del Paese. Este Pais va a explotar! Ma non adduce altre argomentazioni rispetto a quelle che costantemente vengono enumerate quando ciascuno parla della propria nazione.
L'ambasciata italiana qui non esiste. C'è un consolato, ma chiaramente il console non c'è. Ma poco male.

Facciamo ritorno alla scuola, per poi smistarci nelle rispettive collocazioni.
A prenderci viene Max, un uomo sulla cinquantina con un pickup che durante il viaggio verso Quinhamel scopriremo essere il presidente di Artissal, l'organizzazione non governativa presso la quale lavoreremo per i prossimi 6 mesi.

Karim, se non scrivi un cazzo di intervento giuro che ti taglio la barba nel sonno. Col machete.


1 commento:

  1. mi raccomando, non parlare con sconosciuti e soprattutto non accettare caramelle!

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