venerdì 13 settembre 2013

Je ne connais pas l'Afrique


Ormai quattro anni fa lasciavo la terra natìa al grido di “Guardate che torno eh!”. Tuonava più come una minaccia, che come una promessa. Quando me ne andai per studiare “all'Università buona”, promisi anche a mia madre che per ogni 30 mi sarei fatto un buco all'orecchio. E l'affetto materno mi augurò un libretto pieno di 29. Ne ho presi cinque, di 29.

Qualche giorno fa ho completato definitivamente il mio percorso di laurea triennale in Scienze Politiche, a 5 mesi della laurea – i 5 mesi li ho impiegati per dare un esame che mi consentisse di iscrivermi alla specialistica in Economics, Finance and International Integration. Ammappete. E per trovarmi qualcosa da fare per impiegare proficuamente il tempo tra la laurea e l'inizio della specialistica. Qualcosa da fare l'ho trovata: parto per la Guinea-Bissau il primo ottobre per 6 mesi. Mi occuperò di fair trade nell'ambito del programma “Youth in Action”, attraverso il Servizio Volontario Europeo. Estigazzi!

Ci si sente che si pensa di essere fortunati, a 23 anni, a trovare un impiego utile del proprio tempo al di fuori degli studi accademici, in cui si è addirittura coperti nelle spese e (mal)pagati. Capirai, in Guinea-Bissau le sigarette costano 30 centesimi al pacchetto, e hanno i valori – quelli in basso sul lato corto, contornati di nero – che sembrano i valori nutrizionali del lardo di colonnata.
Ci si sente anche come pensavi che si sentissero i tuoi amici che partivano per esperienze di cooperazione e non, in Paesi in via di Sviluppo e non, a lavorare e non. Insomma, ne hai visti tanti andarsene prima di te, qualcuno è tornato anche; più o meno lo sai cosa si prova. Ci chiacchieravi nel cortile dell'Università, e da un giorno all'altro quelli se ne andavano. Poi tornavano, e raccontavano delle loro esperienze del fatto che nessuno ti da la ricetta per salvare il mondo dai cattivi, del fatto che l'Africa ti fa cambiare idea sullo stalinismo, che le elezioni in Africa Occidentale seguono dinamiche bizzarre, che i sorrisi delle donne maya nascondono vissuti inimmaginabili.

Credevo che non sarei mai riuscito a distaccarmi dal mio seminato qui, dalla rappresentanza studentesca, dalle relazioni. Eppure, adesso sono vaccinato contro la febbre gialla, tutto certificato da un libretto giallo, che in questo momento si trova al consolato della Guinea-Bissau insieme al passaporto (il cui ottenimento è risultato parecchio ostico: tutto spiegato in questo articolo scritto malissimo).

Tupac Shakur, morto oggi nel 1996 e paladino del popolo africano trapiantato negli Stati Uniti, cantava “that's the way it is; thing will never be the same”. Ed è questa forse l'unica consapevolezza che mi porto dietro. Non è lo stesso, rispetto a quando sono andato via di casa 4 anni fa, e non sarà lo stesso quando tornerò. Il bello dei cambiamenti è che puoi sempre raccontarli, tra i porticati di un cortile.

Alla fine, dell'Africa io non so una beneamata minchia, ma mi riservo di raccontarvela mischiata a tutte le altre cose che mi passeranno per la testa nei prossimi sei mesi.


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