lunedì 21 ottobre 2013

Se non sono gigli, son pur sempre figli, vittime di questo mondo



Lione non è Quito, né Città del Messico. Qui gli autobus sono puliti, la metropolitana non è un covo di ladruncoli, la sera tornando verso casa non trovi uomini moribondi riversi nel proprio sangue sotto un lampione. La Francia di Hollande è altro. Ma anche a Lione alcuni strati sociali sopravvivono moribondi all'emarginazione.

Tutte le mattine prendo l'autobus 46 e tutte le mattine, approcciando la stazione, non riesco a distogliere lo sguardo da quello che c'è oltre il finestrino. A volte indugio sugli altri passeggeri per capire quello che prova il lionese. Oltre quel finestrino, al passare sotto ponte Kitchener una distesa di tende da campeggio si perde nell'ombra della campata, sui piloni campeggiano manifesti elettorali del Fronte Nazionale. I passeggeri ancora assonnati si volgono quasi sempre dall'altro lato. Il primo giorno qui a Lione credevo che quella fosse una protesta, in fondo la Francia è il Paese della greve, delle lotte studentesche. Giorno dopo giorno e con l'arrivo dell'inverno diventava chiaro che quell'ammasso di tende è la vita quotidiana di decine di rom. A qualsiasi ora del giorno si passi da quella ferita aperta si troveranno bambini, adolescenti, uomini e donne brulicare. Sembra quasi aspettino solo che faccia sera. Avrei voluto parlarci, fotografare il contrasto dei manifesti dell'estrema destra e l'indifferenza dei rom, ma tutte le volte che ci ho provato mi è sembrato inopportuno farlo. "Ciao, come ve la passate qua? Per avere l'acqua dovete andare al fiume vero, non deve essere una passeggiata. Posso fare due foto e poi andarmene?". "Per lo zoo devi prendere la metro fino al parco della Ttete d'Or" avrebbero avuto ragione di rispondermi. Così seguo ogni mattina a immaginare la vita in una tenda, a pochi metri dal centro della seconda o terza città della Francia, con questo freddo ottobrino già insopportabile. 

Non solo i rom, i quali in fondo della società lionese, francese o occidentale non vogliono forse neanche far parte. Stasera nel tornare verso casa in una metropolitana mezza vuota, un gruppetto di adolescenti (quella che a studio aperto, esaltati, chiamerebbero una babygang) ha iniziato a insultare delle ragazze. Non so se la reazione che io e gli altri pochi passeggeri abbiamo avuto sia quella più giusta. L'epilogo, sul momento, è stato solo uno sputo del più esaltato di questi, mentre il portellone si chiudeva. Quello che poi sarà di questi ragazzi non posso invece dirlo. E' la Lione più emarginata, dalla società, forse da sé stessa. Un penoso tunnel scavato nel multietnico formicaio francese.

Ricordo come la notte in Africa cancellasse ogni differenza. Bianco, nero, ricco o povero che tu fossi, in quel momento eri solo il rumore dei tuoi passi, sulla fronte nessuna etichetta. E per poche ore dimenticavi tutto. Allo stesso modo il buio in cui risplendevano stasera le luci della città sui due fiumi, vista dall'alto di Notre Dame de Fourviere ha sciacquato via lo schifo visto durante il giorno. Qui ancora nessuno è condannato a cinquemila anni più le spese.

4 commenti:

  1. Mello' smettila di spiazzare la gente con i titoli, pensavo fosse un intervento di giovanni ferma

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    1. c'ero cascato anche io nel trappolone...specie quando ha detto che immaginava la vita delle persone sui tram "mentre andavano alle urne un po' più consapevoli" (cit.)

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    2. Questo blog mi piace sempre di più

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  2. Solo oggi scopro che fine avrebbero fatto di lì a pochi giorni http://it.euronews.com/2013/10/24/sgomberati-da-lione-nessuno-vuole-300-profughi-albanesi

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