domenica 3 novembre 2013

Work work, money money. Ovvero, l'altro lato del mondo



Hong Kong, ore 4. Al secondo giorno in citta', il cambio di fuso non mi da tregua. A dispetto delle previsioni, mi sveglio nel cuore della notte e non riesco a riprendere sonno. Fuori la citta' tutta dorme, non passano auto, nessun ubriacone che rompe una bottiglia di vetro, nessuna sirena spiegata di una volante o di un'autoambulanza. Niente, solo il silenzio di una citta' che riposa, perche' domani sara' un altro lunedi, bisognera' fare altri soldi prima che qualcun altro li faccia al posto tuo.

La quiete di Kabala o di Soviepe, quartiere alla periferia di Lome', rivive come il film Babel nella mia testa, mentre cammino per le sfavillanti strade di Hong Kong. La flemma dei pigri venditori di ciarpame ai bordi di strade polverose dell'Africa e il passo rapido di uomini d'affari in giacca, cravatta e occhi a mandorla. L'idea che un'azione degli uni possa cambiare la vita degli altri ha il fascino della complessita' compresa in un istante.

In realta' di occhi a mandorla da queste parti se ne vedono relativamente pochi. Negli ultimi lustri la citta' ha visto un afflusso di imprenditori, commercianti e bassa manovalanza senza precedenti, attirati dal miraggio del paradiso fiscale, dell'iva che non esiste, della continua crescita. Metafora di questa crescita sono i grattacieli tirati su come fossero castelli di carte, da uomini equilibristi su impalcature di bambu'.

Le strade sono dunque affollate di occidentali, indoasiatici, anche cinesi, ma quelli ancora non riesco a distinguerli. Li riconosci solo perche' la domenica li trovi in fila davanti alla vetrina di Hermes, Gucci o Prada. Fremono dalla voglia di spendere milioni di HK dollars, di essere sodomizzati dal consumismo del vicino che li disprezza. 


Io prima di disprezzare loro, le insegne luminose che occupano intere facciate dei grattacieli, il bisogno primario di arricchirsi sacrificando la propria vita, il sessantenne lampadato a cena con una sventola che potrebbe essere sua figlia, aspetto che due giorni siano divenuti due settimane, magari mesi.

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